lunedì 25 luglio 2016

Continua... Da ora in poi, amici...

Continua...

Quella lunga giornata sembrò non finire mai, Ralph e Jack scesero dalla soffitta ricoperti da uno strato di nera polvere, ma entrambi con un sorriso che ne faceva risaltare i volti e la purezza delle loro anime ancora intonse, vergini.
Quanto resta di momenti così, lungo la propria esistenza? Quanto possono persistere i ricordi dentro una scatola vuota? Con il tempo il vento logora la superficie dei ricordi, come una statua in marmo, ne rimangono i contorni, a stento se ne riesce a  vedere la forma, tanto che spesso il suo contenuto resta immaginario.
Così il tempo che lavora sui ricordi, ne cancella i contorni, le sfumature più fini, man mano che scorre, i ricordi rimangono aggrappati gli uni agli altri, spesso confondendosi, ed allora, abbiamo la necessita di avere qualcuno vicino con cui li abbiamo condivisi, per ricostruirli, per rigenerarli.
Si perdono però, incondizionatamente, inevitabilmente,  tra i flussi del tempo e si mischiano con molti altri, fino a trasformarsi spesso in un’immagine vaga, eterea, a volte sfuggevole, così delicatamente fragile che la mancanza di qualcuno con cui hai assaporato la vita li rende vitrei, diafani, impalpabili, destinati all’inevitabilità dell’oblio.
Corsero dentro e fuori le stanze, tra i raggi di luci ed ombre, tra sussulti e stupore, tra paura e meraviglia.
Jack conosceva a menadito la vecchia casa e fece scoprire a Ralph un mondo completamente nuovo, così incredibilmente vicino e così drasticamente lontano dalla sua vita.
Erano una scatola vuota, un serbatoio da riempire, per poter sfruttare quell’energia che la vita ti da durante quegli anni in cui tutto ti è dovuto, in cui tutto ciò che impari a conoscere viene assorbito senza filtro, accumulato, stipato, aggiunto, conservato e gelosamente protetto per sempre, fino alla fine.
In quegli anni metti a cassa un credito che poi ti servirà per pagare i debiti ed appagare i  debitori, una moneta che non ha prezzo, una moneta che non puoi comprare, ma che ti può essere solo regalata.
Questo fecero Jack e Ralph, a partire da quella calda mattina d’estate, un patto non scritto, che li avrebbe tenuti insieme per la vita, arricchendoli entrambi, ricoprendoli d’oro e argento, come cavalieri destinati a chissà quale destino.
Di una cosa erano consapevoli, insieme si sarebbero completati, come il bianco e il nero, come l’acqua e il fuoco, insieme erano il tutto e il niente.
Il tempo volò veloce, mente il sole girava vorticosamente sopra le loro teste inclinando  le loro ombre sul terreno.
Si arrampicarono, sopra i vecchi incolti alberi da frutta che disseminavano il terreno ora di piccole mele verdi, ora di succulenti albicocche giallo oro, per spezzare la fame del caldo mezzogiorno e si divisero l’acqua della borraccia di Ralph e quel gustoso panino che aveva preparato la mattina presto senza farsi notare.
Fu rapidamente tardo pomeriggio e Jack fu costretto a separarsi da quel suo nuovo, unico, grande amico, a casa si stavano di sicuro preoccupando di lui, visto che non si era fatto vivo per tutta la mattina e nemmeno all’ora di pranzo, lo stesso valeva per Ralph, i suoi genitori sapevano delle sue fughe nei campi accompagnato da Bear, ma il fatto di non essere ritornato a casa per il pranzo, sarebbe stato sicuramente fonte di preoccupazione, considerando inoltre che Bear era rimasto legato alla catena.
Jack accompagnò Ralph verso  quel buco nella rete da dove era passato, davanti a quell’enorme siepe che nascondeva il giardino si strinsero la mano, poi Ralph strisciò al disotto, tra i rami e le foglie secche, di nuovo tra quelle appiccicose ragnatele che gli si incollarono sul volto e tra i capelli, infine, giunse aldilà, si alzò in piedi e salutando corse verso la sua bicicletta.
“Ci vediamo” gridò forte.
“Si, ci vediamo”, rispose il suo amico attraverso la siepe.
Salì rapido sul sellino e cominciò a pedalare veloce restando in piedi sui pedali, era così euforico, così felice, così sereno, si sentiva appagato.

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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 5 luglio 2016

Il rock nell'anima....



Anni passati a rincorrere la musica, le note come visioni, il rock come rivelazione.
Sono ormai lontani gli anni in cui sentivi quella sensazione di eccitazione che ti faceva palpitare il cuore tanto che quasi sentivi il gusto dell'adrenalina in bocca.
Il mio primo concerto veramente importante, quello che ha segnato tutta la mia esistenza musicale e non, fu a Torino.
A vedere cosa vi chiederete voi? beh, diciamo che comprai un biglietto per fare un giro nel tunnel dell'amore.
Eravamo giovani e liberi, giovani e vergini, come una lavagna bianca, come un mare agitato in tempesta che voleva sbriciolare gli scogli e farsi largo contro le bianche barriere di Dover.
Eravamo innocenti, incoscienti, eravamo noi e il mondo era fuori.
Conservo gelosamente quel biglietto un po' logoro, mezzo strapazzato, con gli angoli strappati e i colori che piano a piano si sbiadiscono.
Lo conservo come conservo tutti i miei ricordi buttati lì, alla rinfusa, come cenci sgualciti sulla seggiola in camera da letto, uno sopra l'altro mischiati, confusi, a volte consumati.
Quando capita che in giornate come queste, quando torna a suonare in quello stadio, visto e rivisto, quando vedi le foto su FB, i post di chi da sempre ti ha accompagnato nella vita e condiviso esperienze come queste, ti senti amareggiato, deluso, ti senti sconfitto e vuoto dentro.
Mi mancano i concerti come questo, mi manca quell'adrenalina che sale, quella sana sensazione di vivere qualcosa di grande, quel pezzetto di puzzle che serve a riempire un vuoto o a completare un angolo nella tua mente fatto di pensieri e di sogni .
La vita spesso ti fa scherzi stupidi, a volte atroci, a volte beffardi e allora arrivi dopo anni di sacrifici di sogni infranti contro le vetrate di una porta, di delusioni e amarezza, allora arrivi a pensare che nella vita ci sono momenti che passano e non ritornano più.
Ti fermi a pensare e a ripensare, cominci a tirare di nuovo le somme, a maledire quei contratti a tempo determinato che ti hanno fottuto la vita, a inveire contro una società a cui hai dato tanto e che non ti restituisce poi molto, anzi ti porta via qualcosa senza pensarci su due volte.
In questi momenti in cui la rabbia ti prende, guardo quelle foto su FB  degli amici che sono li e penso che forse sono esagerato a prendermela. I problemi sono altri, penserà qualcuno, beh ognuno ha i suoi, ma non è questo quello che conta, il vero problema è che mi hanno portato via un sogno un pezzo alla volta. La vita passa e scorre come un fiume, lasciando sulla riva pezzi di vita qua e là, scorre portandosi via i momenti, senza che possano ritornare, senza che tu possa fare nulla per arrestarlo. Questa è la rabbia che mi coglie.
Poi cerco di rivivere quell'esperienza da dentro e chiudo gli occhi e metto le mani sulle orecchie e la mia mente viaggia con i brividi sulla pelle mentre le luci della sera si abbassano sul palco e quella chitarra comincia a suonare.
Il mio pard di sempre è lì e so che lui sarà i miei occhi e le mie orecchie, come sempre, ed allora potrò dire che anche io c'ero, anche io ero li ad ascoltare quei suoni che ti fanno vibrare l'anima, sentendo il caldo che sale dal prato e le transenne che premono contro il mio stomaco, perché il rock è dentro l'anima anche se la mente e il corpo restano a guardare fuori dalla finestra in una calda notte d'estate.