Visualizzazione post con etichetta in attesa della pioggia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta in attesa della pioggia. Mostra tutti i post

lunedì 19 giugno 2017

Capitolo 2 - Gli anni delle anime pure.


Capitolo 2

Gli anni delle anime pure.

Le estati si susseguirono rapide come i vagoni di quel lungo treno che quasi li aveva uccisi.
Ralph e Jack crescevano come anime pure in un mondo così sporco da lordare le ali degli angeli.
La loro amicizia era legata da un indissolubile filo, duro come il più resistente dei metalli, niente avrebbe potuto reciderlo.
La scuola diventava sempre più piccola, così i banche  e le sedie, mentre loro stessi e le loro anime crescevano nell’assoluta indifferenza della gente, spiriti liberi, non curanti di nulla e nessuno.
Il loro mondo era anni luce di distanza da quel piccolo pianeta su cui il resto delle persone trascorreva la propria esistenza, il loro mondo era dentro di loro.
Le scuole medie le trascorsero in differenti istituti, ma poco importava, i centimetri di muro, le ore di lezione e le strade che li separavano erano solo una lunga attesa prima della campanella.
Jack benché avesse una famiglia con problemi difficili da comprendere, soprattutto per un bambino di quell’età, era riuscito a mettersi a pari con gli studi ed in questo Ralph aveva di che vantarsi, poiché si era sempre reso disponibile e soprattutto utile nell’aiutarlo con i compiti e le lezioni. Fu una piccola ancora di salvezza, del resto questo fanno gli amici, altrimenti a cosa servono.
Jack dal canto suo ripagò il suo amico portandolo a conoscenza di talune cose che nel mondo sono degne di essere svelate, una su tutte la musica e la passione.
Già la passione per un qualcosa di così grande che possa farti sognare di essere qualcun altro, in un qualsiasi altro posto che non sia qui.
La passione che cresceva in Jack era grande, così come grande era la curiosità che Ralph aveva.
Una curiosità che lo spingeva a seguire Jack nelle sue letture e nei suoi ascolti.
La piccola radio che risuonava sotto il portico riusciva sempre a farli sognare, e si immaginavano re del rock, sopra un palcoscenico, con in mano una bianca chitarra e la gente sotto il palco che gridava per loro, ed il manico di scopa ora era l’asta di un microfono, ora il manico di una stratocaster.

L’ultima estate passata da ragazzini fu la più rapida a scorrere, i primi timidi peli sul petto e quell’incalzante richiamo della natura che si chiama pubertà li facevano fremere di conoscere l’altra parte del mondo, quella che porta le gonne colorate e i calzini a fiorellini.
Arrivò presto settembre, il caldo era ancora lì, come sempre a circondare ogni cosa, a sollevare la polvere, a seccare le labbra.
Ralph quella mattina prese il motorino che gli era stato regalato per la promozione all’esame di giugno.
Non aveva ancora l’età giusta, l’obbligo era di usarlo solo intorno a casa, ma Ralph con molta attenzione si arrischiava di guidare lungo le strade di campagna fino in città, evitando di incappare nella legge, per andarsi a comprare un gelato, un giornale a fumetti o andare ad ascoltare la radio insieme a Jack.
Quella mattina arrivò fino al cortile della scuola, nessuno lo guardava, in pochi lo conoscevano, la scuola era nuova, così come quelli che sarebbero stati i suoi futuri compagni.
Ralph si ritrovò in piedi,con lo zaino appoggiato ai piedi, guardandosi intorno, curioso, stupito.
Con lo sguardo severo e curioso scrutava i volti, i  capelli, le calze a pois e quelle gonne un po’ più corte dell’anno prima e quelle gambe che da esili, ora avevano preso un po’ forma e gli scatenavano stranamente un certo subbuglio nello stomaco.
Jack arrivò di soppiatto, quasi di nascosto, teneva un profilo basso, distante, lo zaino tra le mani, quasi trascinato per terra, come se il peso fosse troppo da portare, non sulle spalle, ma nel cuore.
A Jack non piaceva la scuola, non gli era mai piaciuta, Jack voleva vivere la propria vita secondo i suoi valori, secondo i suoi desideri, cavalcando quei sogni che forse un giorno lo avrebbero portato lontano da quel piccolo mondo che già allora gli stava stretto come i pantaloncini blu che indossava sopra un paio di scarpe da tennis vissute.
Ralph sorrise, alzò il braccio e salutò il suo amico, sollevò lo zaino sulle spalle e gli si fece incontro. Un mesto saluto, colmo di rassegnazione uscì dalle labbra di Jack.
“Dai ragazzo, ci divertiremo” rispose Ralph mettendogli un braccio attorno al collo.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

mercoledì 17 maggio 2017

Spuma e sassi ...




Spuma e sassi


Ralph restò con gli occhi aperti a guardare l’infinito, il vuoto del canyon era riempito solo dal silenzio irreale di una muta rassegnazione. Si lasciò cadere seduto per terra, il fiato spezzato e il cuore che batteva al limite del collasso. Un istante che durò un’intera vita percorso da pensieri e proiezioni verso un futuro che sarebbe potuto essere.

I suoni si fecero ovattati e lasciarono il posto ad un ronzio continuo, fastidioso, che gli riempieva la testa.

Il naso cominciò a colare e gli occhi lucidi si gonfiarono di lacrime, Ralph si portò le mani al volto e scoppiò in un pianto incontrollato, frammezzato da parole senza senso, senza connessione logica. L’ombra scura gli disegnò la sagoma di un corpo sui calzoni,una mano tremante gli si appoggiò sulla spalla. Jack si allungo sporgendosi sopra il corpo rannicchiato dell’amico a guardare il vuoto sotto la riva.

“Urca, che volo sarebbe stato, c’è mancato poco” sbuffò Jack, tra una pausa di riflessione e un sorso di spuma.

“Tieni, missà che ne hai bisogno di un sorso”, aggiunse porgendo la bottiglietta mezza vuota al piccolo amico.

Ralph si alzò di scatto asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani, prese la bottiglietta e in un solo sorso finì ciò che restava della spuma.

“bell’amico che sei, te ne sei bevuto più di metà” gli disse, buttandogli le braccia al collo.

Si abbracciarono forte, a suggellare un’amicizia saldata da un’esperienza che li avrebbe uniti per sempre.

Cominciarono a ridere e a singhiozzare contemporaneamente, per la gioia, per la paura, per il fatto che ora si sentivano un po’ più grandi di poco prima, e ad aiutarli a crescere era stato lo sbuffo di una locomotiva e un paio di traversine di legno. Come su lavagne bianche il destino tracciava sulle loro anime segni con gessetto bianco, il tempo ne avrebbe cancellato la maggior parte, sostituiti da altri, ma le tracce sulla lavagna sarebbero rimaste comunque per sempre.

Decisero di proseguire la passeggiata nel bosco lungo i binari del treno, camminavano tra le rotaie al centro della massicciata, prendendo a calci i ciottoli bianco ruggine come se ormai nulla potesse più toccarli. Fu una lunga giornata, i due amici tornarono sui loro passi solo verso il tardo pomeriggio, attraversarono il ponte senza riserve, si fermarono persino a lanciare alcune pietre prese dalla massicciata della ferrovia, guardando i cerchi che trasportati dalla lenta corrente si perdevano fino ad infrangersi sulle rive.

Recuperarono la bicicletta di Ralph che la spinse senza salirci sopra fino al limitare della radura, li dove la ferrovia curvando esce dal tunnel e si proietta verso la città

Si separarono, Ralph montò in sella alla sua bicicletta e jack si sistemò bene lo zainetto sulle spalle.

Con un semplice saluto con la mano alzata si accomiatarono l’uno dall’altro.

“Ciao Jack, ci si vede domani”disse Ralph.

“Domani non posso, devo accompagnare mia madre dal dottore”, rispose Jack.

“allora magari dopodomani?” aggiunse appoggiando il piede sul pedale.

“Si, magari dopodomani”.

“Ciao Jack”

“Ciao Ralph…, ci si vede”.

Con pochi colpi di pedali Ralph si allontanò dall’amico che a piedi tornava in città, lungo le stradine di terra impolverate, mentre il sole ancora alto cambiava lentamente colore alle spighe di grano, alle foglie mosse dalla brezza, alla polvere alzata dalla strada.


Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 16 maggio 2017

Corri uomo ...corri... (in attesa della pioggia)





Corri uomo....corri...


Le gambe tremavano come foglie mentre il cuore batteva al ritmo forsennato di un frenetico pezzo di rock’n roll. Ralph e Jack procedevano piano attenti a posare i piedi sopra le traversine sospese, con le mani si aiutavano ora tenendosi aggrappati ai piloni coperti di rossa ruggine, ora allargando le braccia come per tenersi in equilibrio.

Jack era un paio di passi più avanti, ogni qualvolta appoggiava la pianta del piede si voltava poi ad assicurarsi che l’amico lo stesse seguendo, forse più per farsi coraggio che per preoccupazione.Giunti quasi alla metà del ponte si fermò in attesa che Ralph lo raggiungesse, sbruffone, baldanzoso e spregiudicato, Jack si affacciò al bordo del ponte per dimostrare tuta la sua incoscienza.“Dai Ralph, muoviti, non posso mica stare tutto il giorno qui ad aspettarti”, gli gridò con il sorriso stretto tra i denti.

Ralph dal canto suo non aveva poi così fretta di correre, l’incoscienza lasciava il posto ad una commisurata consapevolezza che ciò che stavano facendo era tanto stupido quanto pericoloso e questo lo portava ad essere cauto e attento a non commettere banali imprudenze di cui non avrebbe avuto modo di pentirsi.

“Eccoti finalmente, amico mio, ce ne hai messo di tempo !” disse Jack al sopraggiungere di Ralph

“Ringrazia dio che sono qui, non è proprio una passeggiata”, gli rispose con la voce rotta dall’eccitazione.

“Dammi da bere, ne ho bisogno”, chiese Ralph .

“Lo hai tu lo zaino” affermò con stupore l’amico.


I due si guardarono reciprocamente le spalle, come se fosse un gesto naturale, ma lo zainetto restava lì, appoggiato tra i fili d’erba sul bordo della pista ferrata, in terra sicura.

“Oh no….sei il solito idiota...” borbottò Ralph, “..ora ci torni tu indietro a prenderlo”

“ Col cavolo…” rispose Jack.

“Io non ci torno indietro, lo zaino è il tuo e sono sicuro che se torni a casa senza tua madre te ne farà passare delle belle !!”

Fece un sospiro profondo, poi sbuffò come un treno in corsa, Jack si staccò dal pilone in ferro e cominciò a tornare indietro, passo dopo passo, traversina dopo traversina. Ralph restò lì, al centro del ponte, lentamente si sedette sul bordo di una traversina, con le gambe penzoloni sul vuoto e le mani saldamente aggrappate all’intelaiatura in ferro del ponte. Di tanto in tanto si girava verso l’amico che procedeva con passo lento ma sicuro verso la riva e gli gridava con un sinistrò quanto irridente sfottò “muoviti lumacone !!!”.

I pensieri di Jack si rivoltavano nella sua mente come calzini sporchi, tra la rabbia di essere stato così fesso da dimenticare lo zaino e la consapevolezza di essere tanto in gamba da permettersi di fare avanti e indietro lungo il ponte, cosa che forse era più semplice per lui che passeggiare nel centro città mentre tutti lo guardavano giudicandolo con gli sguardi. Jack arrivò all’ultima traversina, con un balzo la saltò, si girò verso Ralph e cacciando un urlo liberatorio alzò le mani al cielo in segno di vittoria.

In realtà le gambe molli e il fiato corto lo facevano sentire spossato, come se avesse corso per miglia e miglia. Raccolse lo zainetto e prese un’altra bottiglietta di spuma rossa, la stappò usando i denti con il rischio di rovinarseli tutti, ma in quel momento di euforica vittoria era il suo modo di dimostrare quanto fosse un vero duro.

Diede una bella sorsata, alzando la bottiglietta in alto all’indirizzo dell’amico, in quel momento la sua superbia era pari a quella di Allan Quatermain davanti all’ingresso delle miniere di re salomone, si sentiva inarrivabile. “Dai muoviti !! “ gli gridò Ralph da mezzo il ponte, “…non vorrai mica festeggiare da solo !!”

“Arrivo, Arrivo”, bofonchiò Jack, subito richiamato all’ordine dalla perentoria voce seria di Ralph. Più sicuro di prima, ritornò sui suoi passi e riprese a camminare sul ponte, sbeffeggiando l’amico saltellando ora avanti ora indietro sopra le traverse delle rotaie. Il tempo però scorre e sbuffa e fischia come un treno che viaggia diritto sui suoi binari. Ralph sgranò gli occhi non appena vide lo sbuffo di fumo nero uscire dalla galleria in lontananza, si alzò veloce in piedi e cominciò a muovere le braccia e a gridare “ MUOVITI…MUO VI TI , JACK CORRI !!!!”.

“Che fai ora non esagerare, sto arrivando !!” rispose stizzito Jack. “IL TRENO JACK, IL TRENO !!!” gridò Ralph mentre alzatosi in piedi cominciava a saltellare tra una traversina e l’altra. Jack si voltò non appena sentì il fischio che come un proiettile passò da una e riva all’altra saltando per intero il burrone.

Cominciò a saltellare veloce tenendo con una mano lo zaino e con l’altra la bottiglietta, poi più veloce sempre più veloce, cercando di raggiungere Ralph che nel frattempo si era dimostrato una lepre senza eguali. Le voci si rincorrevano “CORRI CORRI” mentre il fischio del treno rimbalzava tra i tralicci in ferro e si moltiplicava all’infinito.

Jack correva, con la spuma che schizzava via dalla bottiglietta e lo zaino che gli rimbalzava contro le ginocchia. Correvano come nessuno di loro avesse mai corso, il treno li rincorreva inconsapevole, veloce, rumoroso, le sue pesanti ruote in ferro facevano vibrare tutto il ponte. I cuori battevano come tamburi impazziti e schizzavano fino alla gola rompendo il fiato.

ARRIVA ARRIVA !!! CORRI CORRI !! SALTA SALTA…

Ralph corse come se non ci fossero altro che nuvole tra lui e il fiume, si sentiva leggero come un’anima senza peso, ora era il momento di saltare. Ralph raggiunse il bordo dall’altra parte e si lasciò scivolare lungo la massicciata di ghiaia bianca, la polvere gli si impastò con la saliva tanto da non permettergli più di gridare …” AVVRiVA.. CoVi …JAc… SaTTa...SatTA”.

Il cuore in gola, la bottiglietta nella mano destra, lo zaino nella sinistra, il treno appiccicato ai talloni che continuava a fischiare e fischiare e fischiare sempre più forte. Jack era come una pentola a pressione sul limite di esplodere.

Jack nello slancio di una corsa senza più controllo lasciò scivolare via lo zainetto e si catapultò verso il bordo del ponte a pochi metri dalla fine, li dove ancora la riva scherza con il vuoto in un irridente senso di sicurezza.

Il treno passò ragliando con tutti i suoi vagoni, come un mulo che deride due stupidi somari. La cadenza dei vagoni, uno dopo l’altro scandivano i secondi che separavano Ralph dall’inevitabile consapevolezza di aver perso il suo più caro amico in un modo tanto stupido quanto inutile. Infine con un secco rumore metallico l’ultimo vagone lasciò il ponte, le vibrazioni dei tralicci in ferro si affievolirono in un silenzio irreale fino a lasciare lo spazio ai suoni del bosco e al lento scorrere del fiume.


Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

mercoledì 3 maggio 2017

…uomini o topi… (in attesa della pioggia)… continua


Uomini o topi....

Il sinuoso boa verde si scrollò di dosso le piccole ondine create dalla bottiglia come un cavallo si scrolla le mosche di dosso con un fremito della pelle.
Niente più che una breve ed intermittente modificazione dello stato di quiete, tutto qui.
Ralph e Jack si guardarono negli occhi e riguardarono il fondo del canyon e si riguardarono nuovamente negli occhi.
Jack fece una piccola smorfia con la bocca accompagnandola con un piccolo movimento di spalle, come a sottolineare che in fondo si trattava di una sciocchezza, nulla più che un fiume verdastro che scorre in fondo ad un burrone.
Forse non aveva tutti i torti, ma Ralph la pensava, allora, in maniera differente e i pensieri negativi si affollarono nella sua mente, tra l’istinto di sopravvivenza e l’incoscienza di un’età che ti mette di fronte al mondo, facendolo sembrare un luna park.
Le mani di entrambi si strinsero a suggellare un patto già benedetto dal sorso della cola, poi, Ralph,  tirandosi su i calzoni, infilando le dita nelle asole, disse a Jack con voce compatta e tono serioso : “Allora , facciamola sta cosa e non parliamone più!”.
Jack ebbe un piccolo sussulto, forse aveva immaginato una decisione diversa, forse avrebbe voluto che Ralph fosse più titubante, più timoroso, ma no, non lo fu.
“Si, Facciamola e non parliamone più” rispose a Ralph.
La decisione fu presa, ma nessuno dei due mosse un passo, quasi ad attendere che fosse l’altro a incedere per primo, si guardavano lanciandosi piccoli segnali non verbali, un piccolo movimento di sopracciglie, un lieve schiocco delle dita, il piede che striscia per terra segnando un piccolo solco scuro sul tappeto di erba secca, la mano che scivola tra i capelli a massaggiarsi la nuca.
Infine come un'unica anima, si mossero contemporaneamente, tanto che quasi le teste finirono per cozzare l’una contro l’altra.
“dai vai avanti tu”, suggerì Ralph,  più per educazione che per rispetto nei confronti dell’amico.
“Certo che vado avanti io” Rispose altisonante Jack “..io sono più vecchio di te!”
“No, sono più vecchio io, ma non fa niente, vai avanti tu”, ribattè Ralph.
L’erba secca gracchiava sotto il loro piedi, come uno scrosciante applauso. Si fecero largo tra le basse fronde che costeggiavano la massicciata di ghiaia bianca su cui riposavano le lunghe e pesanti rotaie.
Nessuna barriera, nessuna recinzione a proteggere gli incoscienti e insani malcapitati che  si trovavano a passare di li, ma del resto l’attenzione e la sicurezza ai tempi erano lasciati al buon senso e alla paura, se non c’è un limite perché superarlo.
Di sicuro le intensioni dei due andavano ben oltre la normale concezione di sfidare il pericolo solo per il gusto di farlo, la loro era una sorta di iniziazione, in fondo siamo uomini e non topi, come qualcuno disse.
Il sole caldo proiettava i propri raggi tra le travi del ponte che in un’unica campata attraversava il fiume, rimbalzavano lucidi sulle rotaie per perdersi nell’infinito.
 I due amici si avvicinarono silenziosamente al bordo del ponte, fino a fermarsi li, tra il limite , li dove finisce la terra e comincia il vuoto del cielo.
Le rotaie si estendevano diritte lungo tutto il ponte, appoggiate ad assi di legno imbrunite dalla ruggine e dallo sporco, assi nere, che si confondevano con le ombre proiettate dai tralicci in ferro.
Il primo passo fu simultaneo, si mossero all’unisono, come un sol uomo.
Subito dopo il secondo, poi un terzo e un quarto e un quinto passo, uno dietro l’altro, sicuri, insieme sembrava non essere tutto sommato una cosa così complicata.
Tra un asse e l’altro si vedevano le fronde dei cespugli che crescevano sotto la campata, sul limite della riva, ma al passo successivo un brivido colse entrambi, tanto da far tremare le ginocchia e far sentire il cuore battere più velocemente, la scossa di adrenalina che li pervase fu come una doccia fredda.
Ora tra un asse e l’altro non si vedeva che il vuoto, ora si che la cosa si faceva complicata.
La paura fece gelare loro il sangue e come una lucertola infreddolita le loro gambe esili si muovevano a rilento, insicure, le ginocchia vibravano come quelle di un vitellino nel suo primo tentativo di sollevarsi in piedi.
Gli occhi sgranati scrutavano attentamente dove poggiare la suola delle scarpe e contemporaneamente lanciavano uno sguardo atterrito alla sottile linea verde che non ricordava più nemmeno vagamente un fiume.
La paura fa brutti scherzi, su questo non avevano dubbi.



Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 28 marzo 2017

Continua... La lunga estate calda (In attesa della pioggia, racconto sul blog)


Continua... La lunga estate calda (racconto sul blog)

Cos’è che fa di un’amicizia un legame indissolubile? Cos’è che rende due persone tanto legate l’una all’altra? Ralph non si poteva dare una risposta, ne ora ne mai.
Esiste una chimica, una reciproca assonanza, come un puzzle che si incastra solo in un punto, solo in un verso, come un’attrazione compensativa, una sorta di amplificazione di energia.
L’amicizia non è come l’amore, l’amicizia è indissolubile, indistruttibile, puoi restare separato per anni da un amico e ritrovarti come se ti fossi lasciato pochi minuti prima.
Questo era ciò che tenne Ralph e Jack  uniti, come due facce della stessa medaglia, come il bianco e il nero, come la vita con la morte, l’uno senza l’altro erano semplicemente il vuoto.
Quell’estate fu una delle più calde che Ralph ricordava, calda e umida. La pioggia si fece attendere per mesi, i campi ingiallivano sotto il peso dei raggi del sole, la terra cuoceva trasformandosi in sottile polvere che si posava lenta appesantita dall’umido velo della notte.
Gli incontri tra Jack e Ralph diventarono un appuntamento fisso, si incontravano a metà strada ogni settimana, sempre più frequenti, tra la città e la campagna.
Ralph quell’estate ebbe in regalo per la promozione a scuola, una rossa bicicletta da cross, le gomme bianche e nere, il lungo sellino e delle grosse molle sulle forcelle anteriori che simulavano grossi ammortizzatori, in realtà non era proprio una bici da cross come quella che avrebbe voluto, ma non importava, perché quella rappresentava il suo primo passo verso l’indipendenza.
Con quella bici poteva muoversi liberamente, era la sua e di nessun altro, con quella bici avrebbe potuto andare ovunque i suoi sogni avessero voluto portarlo.

Ralph pedalava ogni giorno di quella calda estate verso i sogni e i sogni lo conducevano attraverso la scoperta quotidiana verso una realtà che faceva parte di un mondo parallelo, un mondo tutto suo in cui perdersi.
Jack non era così fortunato, lui non ebbe una bicicletta nuova per la promozione, a dire il vero nessuno si curò di lui, nessuno gli fece complimenti ne tantomeno si curarono di sapere se la scuola era terminata, semplicemente, nella totale indifferenza Jack continuò la sua esistenza senza che nessuno si preoccupasse di come fosse.
Le avventure attraverso i boschi, portarono i due amici ai limiti del mondo allora conosciuto, la dove la ferrovia si estendeva, sospesa nel vuoto, attraverso il lungo ponte di ferro che univa la contea al resto del mondo da una parte e li dove, attraverso le montagne, si infilava in una oscura e infinita galleria dall’altra.
C’erano giorni in cui arrivati ai limiti del mondo, restavano semplicemente seduti a guardare, a volte lo scorrere del fiume infondo al canyon a volte il buoi del tunnel.
Le voci portate dal vento suonavano tra i tralicci di ferro facendo vibrare il ponte quasi a cantare di storie lontane, le voci sussurrate delle anime che passavano sui vagoni portavano rapidamente via i pensieri, mentre Ralph e Jack fantasticavano su ciò che avrebbero un giorno trovato dall’altra parte.
Altre volte, restavano atterriti dal buoi del tunnel e dalle grida che echeggiavano rimbalzando sulle pareti di pietra, la luce  a stento penetrava nella galleria illuminando il breve tratto iniziale, quasi a spingerli ad entrare, come un richiamo, come un sinistro invito ad affrontare l’oscurità.
Tremavano come foglie al vento al sibilo del treno che sferragliava improvviso tra i silenzi del bosco, sollevando la polvere dalla massicciata e spargendo l’odore di ruggine tra le fronde degli alberi.
Il giorno in cui decisero di affrontare il ponte fu il primo tentativo di vivere oltre il limite che la loro età gli consentiva.
A posteriori chiaramente fu una scelta stupida, ma quante scelte stupide si fanno nella vita.
Ralph quella mattina uscì di buon ora con la mamma che gli gridava a gran voce di finire la colazione, senza speranza  di essere ascoltata gli intimò di non fare tardi, come oramai faceva sempre.
Ralph saltò in sella sulla sua rossa bicicletta come un provetto cowboy fa col suo fido destriero e cominciò a pedalare in direzione della ferrovia attraverso un sentiero che ogni giorno era sempre più marcato.
Arrivò presto Ralph, tanto che dovette aspettare a lungo Jack che con le sue minute gambe dovette camminare per qualche chilometro tra i prati e le strade sterrate che circondavano la città.
Quando lo vide arrivare Ralph non lo saluto nemmeno, “Dovresti comprarti una bici”, gli disse.
Jack scrollò la testa, “Uno di questi giorni ruberò la tua”, gli rispose.
Ralph lo guardò turbato, pensando che vista la sua situazione ne sarebbe stato anche capace, “Non provare nemmeno a pensarci” lo minacciò puntandogli il dito indice contro il viso.
“..e tu non  tentarmi”, gli intimò Jack.
Ralph nascose la bici tra le fronde, mentre jack si tolse il piccolo zainetto dalle spalle, lo appoggiò per terra e tirò fuori una bottiglietta di spuma rossa.
Estrasse un coltellino dalla tasca e con rapidità stappò la bottiglia. Il tappo schizzo in alto portandosi dietro il sibilo del gas.
Diede un sorso alla spuma,  “tieni, dobbiamo brindare alla nostra missione”incitò Ralph, porgendogli la bottiglia.
“dove l’hai rubata ?” gli chiese Ralph.
“Bevi e stai zitto”.
Più volte si passarono la spuma, sorseggiando a vicenda, come a dividersi in parti uguali il coraggio di cui avevano estremamente bisogno, fino a che una volta finita Jack lanciò la bottiglia vuota giù dall’irta riva coperta di alberi che finiva nel profondo Canyon.
Roteava la bottiglia fischiando e suonando, come la tromba in una carica di cavalleria, fino a perdersi in un tonfo sordo nelle verdastre acque del fiume.



Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

lunedì 25 luglio 2016

Continua... Da ora in poi, amici...

Continua...

Quella lunga giornata sembrò non finire mai, Ralph e Jack scesero dalla soffitta ricoperti da uno strato di nera polvere, ma entrambi con un sorriso che ne faceva risaltare i volti e la purezza delle loro anime ancora intonse, vergini.
Quanto resta di momenti così, lungo la propria esistenza? Quanto possono persistere i ricordi dentro una scatola vuota? Con il tempo il vento logora la superficie dei ricordi, come una statua in marmo, ne rimangono i contorni, a stento se ne riesce a  vedere la forma, tanto che spesso il suo contenuto resta immaginario.
Così il tempo che lavora sui ricordi, ne cancella i contorni, le sfumature più fini, man mano che scorre, i ricordi rimangono aggrappati gli uni agli altri, spesso confondendosi, ed allora, abbiamo la necessita di avere qualcuno vicino con cui li abbiamo condivisi, per ricostruirli, per rigenerarli.
Si perdono però, incondizionatamente, inevitabilmente,  tra i flussi del tempo e si mischiano con molti altri, fino a trasformarsi spesso in un’immagine vaga, eterea, a volte sfuggevole, così delicatamente fragile che la mancanza di qualcuno con cui hai assaporato la vita li rende vitrei, diafani, impalpabili, destinati all’inevitabilità dell’oblio.
Corsero dentro e fuori le stanze, tra i raggi di luci ed ombre, tra sussulti e stupore, tra paura e meraviglia.
Jack conosceva a menadito la vecchia casa e fece scoprire a Ralph un mondo completamente nuovo, così incredibilmente vicino e così drasticamente lontano dalla sua vita.
Erano una scatola vuota, un serbatoio da riempire, per poter sfruttare quell’energia che la vita ti da durante quegli anni in cui tutto ti è dovuto, in cui tutto ciò che impari a conoscere viene assorbito senza filtro, accumulato, stipato, aggiunto, conservato e gelosamente protetto per sempre, fino alla fine.
In quegli anni metti a cassa un credito che poi ti servirà per pagare i debiti ed appagare i  debitori, una moneta che non ha prezzo, una moneta che non puoi comprare, ma che ti può essere solo regalata.
Questo fecero Jack e Ralph, a partire da quella calda mattina d’estate, un patto non scritto, che li avrebbe tenuti insieme per la vita, arricchendoli entrambi, ricoprendoli d’oro e argento, come cavalieri destinati a chissà quale destino.
Di una cosa erano consapevoli, insieme si sarebbero completati, come il bianco e il nero, come l’acqua e il fuoco, insieme erano il tutto e il niente.
Il tempo volò veloce, mente il sole girava vorticosamente sopra le loro teste inclinando  le loro ombre sul terreno.
Si arrampicarono, sopra i vecchi incolti alberi da frutta che disseminavano il terreno ora di piccole mele verdi, ora di succulenti albicocche giallo oro, per spezzare la fame del caldo mezzogiorno e si divisero l’acqua della borraccia di Ralph e quel gustoso panino che aveva preparato la mattina presto senza farsi notare.
Fu rapidamente tardo pomeriggio e Jack fu costretto a separarsi da quel suo nuovo, unico, grande amico, a casa si stavano di sicuro preoccupando di lui, visto che non si era fatto vivo per tutta la mattina e nemmeno all’ora di pranzo, lo stesso valeva per Ralph, i suoi genitori sapevano delle sue fughe nei campi accompagnato da Bear, ma il fatto di non essere ritornato a casa per il pranzo, sarebbe stato sicuramente fonte di preoccupazione, considerando inoltre che Bear era rimasto legato alla catena.
Jack accompagnò Ralph verso  quel buco nella rete da dove era passato, davanti a quell’enorme siepe che nascondeva il giardino si strinsero la mano, poi Ralph strisciò al disotto, tra i rami e le foglie secche, di nuovo tra quelle appiccicose ragnatele che gli si incollarono sul volto e tra i capelli, infine, giunse aldilà, si alzò in piedi e salutando corse verso la sua bicicletta.
“Ci vediamo” gridò forte.
“Si, ci vediamo”, rispose il suo amico attraverso la siepe.
Salì rapido sul sellino e cominciò a pedalare veloce restando in piedi sui pedali, era così euforico, così felice, così sereno, si sentiva appagato.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

giovedì 30 giugno 2016

..Una stretta di mano basta e avanza... ...continua...

... Continua...


Strinse gli occhi e cercò di abituarsi al buio, si alzò in piedi spingendosi con le braccia, riusciva a stare in piedi senza problemi, il sottotetto era abbastanza alto anche per un uomo già fatto.
“Chi sei? Cosa ci fai qui? Perchè mi segui?” Furono le domande che come una mitraglia si scaricarono addosso a Ralph.
Ralph rispose senza remore, lui non stava seguendo nessuno, si trovava li solo per scoprire quel giardino, per esplorare quella casa.
La voce dal buio della soffitta restò in silenzio, per un po’, poi chiese quasi con un ordine perentorio e minaccioso a Ralph di spostarsi alla luce.
Ralph si spostò lentamente verso un raggio di sole che filtrava dal lucernaio, così denso e luminoso che quasi lo potevi toccare.
Socchiuse un poco gli occhi per il fastidio,  mentre dal fondo la voce riecheggiò squillando come una trombetta.
“…Tu sei quello della fermata dell’autobus!”, Ralph non poteva crederci, “Certo che sono io” rispose.
Fu una di quelle incredibili e improbabili combinazioni del destino, quasi che Ralph non riuscì a tenersi dal far scendere una lacrima di gioia, tanta era l’emozione di essere riuscito nella sua impresa.
La voce si materializzo piano uscendo in dissolvenza dal buio di quella soffitta polverosa, la maglietta a righe, i capelli scompigliati con quel buffo taglio, quasi se li fosse tagliati da se, i capelli; pantaloncini corti e ai piedi delle logore scarpe da ginnastica blu, di una misura più grande del suo piede.
Quando si fece avanti, sotto la luce, i suoi occhi color ghiaccio si illuminarono come cristalli, allungò la mano, sporca, impolverata e si presentò, “Io sono Jack”, “…e…io sono Ralph”.
Quanto strano è il destino, quanto vale il gioco, la fortuna e la caparbietà, quando conta l’essere sognatori in un mondo tanto grande.
In quel giorno, in quell’istante in cui Ralph attraversò la strada e si sedette sulla panchina, tutto cambiò irrimediabilmente, per entrambi, le loro vite non sarebbero state più le stesse perché ora che si erano ritrovati in quella soffitta polverosa, tra vecchi mobili accatastati e l’odore di vecchio, due giovani  ragazzini avevano appena fuso le loro esistenze.
Amicizia, nasce per gioco, nasce per caso, in un attimo ti ritrovi come per una magica alchimia a condividere un istante e all’improvviso tutto cambia, trovi la tua anima complementare che per tutta la vita ti sarà legata, nel bene e nel male, vicino o lontano, tra litigi e abbracci tra esperienze condivise e delusioni cocenti.
Non importa quanto male ci sarebbe stato al mondo, la fusione fatta in quella soffitta, sarebbe durata per sempre, di questo entrambi ne erano assolutamente consapevoli.
Era come qualcosa di scritto nell’anima, nella loro esistenza, era scritto nel libro della vita che si sarebbero dovuti incontrare, prima o poi.
“Siamo amici?” chiese Ralph, “Credo di si !”gli rispose Jack.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 28 giugno 2016

Rumori in soffitta... ...continua....

... Continua ...


Sentiva i battiti come se una mazza battesse sulla grancassa, il cuore in gola, sbuffò forte e con un gran respiro si diete coraggio.
Un passo avanti all'altro, quasi in punta di piedi, Ralph salì i gradini lentamente, scrutando le scale che salivano fino al piano superiore.
La mano scivolò sul corrimano impolverato lasciando il segno al suo passaggio.
Una grossa finestra, sul pianerottolo a metà delle due rampe, oscurata da vecchie persiane chiuse, illuminava a sprazzi i gradini di marmo ingialliti e macchiati dal tempo. Arrivò al piano superiore trattenendo quasi il fiato per tutta la salita.
Sentì i rumori, ancora, ma questa volta i passi e la corsa sembravano più pesanti e veloci, quasi fosse un tentativo di fuga. Il lungo corridoio che separava le stanze era buio e oscuro, anche stringendo gli occhi a fatica Ralph riusciva a vedere il fondo.
Le scure porte di legno delle stanze erano chiuse, si avvicinò piano alla prima sulla sinistra, pose lentamente le mani sulla maniglia, prese fiato e poi con una spinta secca, decisa spinse la porta fino a farla sbattere contro il muro.
La stanza era vuota, dentro c’era un vecchio letto arrugginito e un cumulo di pezzi di mobili rotti.
La stanza buia era appena illuminata dalla luce esterna che filtrava appena tra le imposte e i rampicanti che si accalcavano contro le ante di vetro.
Una porta interna conduceva ad un'altra stanza attigua, Ralph vi si avvicinò rapido e con gran veemenza cercò di aprirla, invano.
Nuovamente i passi di corsa si fecero sentire, accompagnati da un gran trambusto, come se qualcuno inciampando avesse fatto cadere il mondo intero.
Ralph corse fuori dalla stanza gridando e minacciando, poi fu nuovamente il silenzio.
La polvere galleggiava illuminata dai penetranti raggi del sole della stanza a fianco, Ralph allungò la testa per cercare di spiare all’interno.
Vuota, solo la polvere, un vecchio tavolino ribaltato, i raggi del sole che si facevano largo tra le fessure delle persiane e tutto intorno i segni di impronte, confuse che irrazionalmente si dirigevano in ogni dove.
Ralph arrivò in fondo al corridoio, non c’erano più stanze da scoprire da quel lato della casa, c’era solo una vecchia scala a pioli in legno ribaltata contro la parete.
Ralph alzò gli occhi al soffitto e vide una piccola botola in legno che portava al sottotetto.
C’erano piccoli segni di strisciate sul muro, come se qualcuno si fosse dato la spinta con i piedi per tirarsi su attraverso la botola.
Ralph prese la scala e l’appoggiò al muro, era più bassa e non arrivava alla botola,  con cautela cominciò a salire i pioli, ma appena superata la metà la scala cominciò a scivolare un poco sulla destra.
Fermo, immobile,  Ralph aspettò a salire sugli ultimi pioli, quella scala era così instabile che di sicuro qualcosa sarebbe andato storto.
Sbuffò per un istante e poi salì verso gli ultimi pioli, tenne una mano appoggiata alla parete, e con l’altra si distese a spingere la botola verso l’alto.
Lo sguardo di Ralph si posò sulla sua mano e notò suo malgrado altre piccole grigie impronte di mani che segnavano il muro, ma non fece in tempo a pensare ad altro che la scala cominciò a scivolare sotto i suoi piedi.
Si diede una spinta, staccò la mano dal muro e si aggrappò al bordo della botola che spinta dall’altra mano si aprì sbattendo sul pavimento del sottotetto.
La scala scivolò rovinosamente per terra sbattendo fragorosamente sul pavimento, Ralph si tirò su a forza di braccia aiutandosi con la spinta dei piedi che pattinavano veloci sul muro.
Appoggiò i gomiti al pavimento e facendo leva si tirò su attraverso la botola trascinando il petto e il ventre sul pavimento.
Si ritrovò seduto sul bordo della botola, con la maglia sporca, le braccia e le mani annerite dalla polvere nera e densa.
“Adesso come facciamo a scendere, idiota!!” sentì giungere una voce dal buio del sottotetto.
Ralph si girò di scatto, spaventato, non riusciva a vedere niente in  quegli angoli bui, la luce del lucernaio illuminava solo a tratti quel grosso, alto e profondamente nero sottotetto.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©


lunedì 27 giugno 2016

Restare o fuggire ... continua...

...continua...



Ralph era più che emozionato, era terribilmente felice di essere li in quel momento, in quel posto, felice di aver intrapreso quella strana e stupida impresa alla ricerca di chissà chi.
Ora non aveva più importanza, ora contava scoprire il più possibile di quel posto, cercare di soddisfare la sua immane, ingorda avidità di scoprire il mondo ed ingrassare i propri ricordi e le proprie emozioni.
Diede un ultimo sorso alla bibita, la buttò giù tutta di un fiato, non aveva tempo di godersela come faceva di solito, aveva cose ben più eccitanti e gratificanti del bere una cola intiepidita.
Si guardò attorno, appoggiò la bottiglietta vicino ad una pietra squadrata, l’avrebbe ripresa al ritorno, il vuoto a rendere gli dava diritto ad avere indietro ben 10 centesimi.
Gonfiò il petto e fece un profondo respiro, tanto profondo che la testa gli cominciò girare un poco, come quella volta che a casa della signora Carla aveva bevuto mezzo bicchierino di liquore all'arancia, si sentiva la gazzosa nella testa e per qualche istante gli pareva che tutto il mondo fosse li e non fosse li allo stesso tempo.
Passata l’euforia da ossigeno, Ralph scosse la testa e a parte qualche primo incerto passo, si diresse sicuro verso la fila di alberi che nascondevano, con le loro alte e gonfie chiome, la grande villa abbandonata.
Robusti fusti di contorti di glicine si aggrovigliavano intorno ai pilastri del porticato, arrancando con feroce voracità verso i poggioli nella facciata laterale.
Grappoli di profumati fiori pendevano come lanterne ricolme di nettare, adornavano i muri come enormi campanelli ronzanti per la moltitudine di api e calabroni.
Framezzati al viola del glicine enormi campanule arancio intenso di bignonia penzolavano come tanti piccoli fiati di un’enorme orchestra.
Foglie e fiori secchi ricoprivano le infestanti erbe che crescevano lungo il marciapiede solcato da mille crepe.
Attaccamani si aggrovigliavano alle erbacce in una continua lotta per lo spazio e la sopraffazione delle piante vicine, in eterna lotta per la vita come ogni estate, in un ciclo perpetuo e continuo per sopravvivere al tempo.
La portulaca si creava spazio tra i piccoli infestanti fiori azzurri di Veronica, che si abbracciavano alle campanelle bianche di convolvolo, creando un groviglio di colori e un avviluppo contorto di foglioline.
Incantevoli a vedersi ma così terribilmente forti e ostinate, caparbie, insistenti, alla fine infestanti.
Quell’esplosione di piante e fiori lasciò Ralph a bocca aperta, si fece strada tra le alte e secche erbe di loietto, pesarone e avena selvatica, passandoci in mezzo le stringeva tra le dita sgranando i semi fino alla cima che gli restavano tra le dita come un minuscolo mazzetto di fiori secchi.
Lasciò cadere i semi man mano che camminava, le mani quasi accarezzavano le cime degli alti steli d’erba, mentre con lo sguardo rivolto a destra e a sinistra si sincerò che non ci fosse nessuno, che non ci fosse nessun pericolo.
Arrivò sotto il buio porticato, i vetri delle finestre infranti, le inferiate arrugginite perdevano scaglie di colore seccato dal sole, dal vento, dal tempo.
C’era una grossa porta di legno a due ante, con due grossi pomelli di ottone ossidato come maniglie, era accostata, chiusa, ma non serrata.
Ralph si avvicinò alle finestre e con la mano cercò di fare ombra per scrutare all’interno, il riflesso era forte, i raggi di luce del sole che penetravano dalle altre finestre creavano un riverbero di chiari e scuri che rendeva impossibile capire cosa ci fosse dentro.
Ralph si accostò alla porta, appoggiò le mani e cominciò a spingere, la porta rigonfia strisciò sul pavimento ricalcando segni sul pavimento che facevano pensare al fatto che forse non era il primo ad addentrarsi in quel luogo.
Strizzò gli occhi e inarcò un poco le spalle, mentre la porta vibrando stridette in un acuto grido graffiando le piastrelle.
Cauto, attento, Ralph allungò la testa all’interno, poi tutto il corpo lo seguì come per spingerlo dentro.
C’era silenzio e rumori, c’erano suoni e odori, luce ed ombra, la grande sale d’ingresso si estendeva a forma di cavallo attorno ad una grande scala centrale che portava al piano superiore.
I pavimenti scuri, coperti dalla polvere e dallo sporco erano praticamente incolori, un grigio scuro uniforme, qua e la coperto di foglie secche e segni di macchie di umidità e infiltrazioni.
Rantolava quell’enorme casa, respirava a fatica, chiusa, stretta tra le morse e le spire di edere rampicanti e piante, soffocata, spenta dalla mancanza della luce del sole.
Quella casa che sicuramente aveva visto tempi migliori stava morendo sotto il suo stesso peso, sotto il peso dell’esistenza.
Meravigliato, angosciato, spaventato e oltremodo eccitato, Ralph non stava più nella pelle, desideroso e allo stesso tempo impaurito voleva scoprire tutto di quel mondo.
L’immaginazione fervida di Ralph lo faceva spesso correre attraverso il tempo e lo spazio e davanti agli occhi tutto si animava, i colori riprendevano vita, i mobili rotti si ergevano dalla polvere, le pareti si inondavano di luce, le finestre si adornavano di delicate tende ricamate che dondolando nella brezza del mattino, spargevano il delicato profumo della lavanda in fiore nelle aiole.
Il lucido pavimento brillava riflettendo il grande lampadario di cristallo che scomponeva i raggi di luce in migliaia di colori.
Le voci e i suoni percorrevano i corridoi, le risate di gioia provenienti dal giardino salivano rapidamente i gradini della scala come i tasti suonati veloce di un pianoforte a coda.
Un rumore di passi in corsa interruppe il sogno ad occhi aperti di Ralph, come una puntina che scivola rovinosamente tra i solchi di un trentatré giri.
Il cuore cominciò a battere velocemente, l’adrenalina gli fece rizzare i peli del braccio e dilatare le pupille, facendogli scorgere anche gli oggetti in ombra agli angoli della stanza.
Qualcuno o qualcosa aveva fatto rumore al piano di sopra, Ralph di questo ne era sicuro, restava solo il fatto che avrebbe dovuto decidere se scappare o restare.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

giovedì 23 giugno 2016

Il giardino oltre la siepe... continua...

... Continua ...


La bottiglietta di cola fresca tra le mani, la bici appoggiata al muro, il sole che si ergeva rapido rimpicciolendo le ombre degli uomini e delle cose.
Attraversò la strada spingendo la bicicletta con un mano, mentre con l’altra teneva stretta la bottiglia, quando giunse dall’altra parte, appoggiò la bicicletta contro la recinzione che separava il marciapiede dal giardino incolto di un vecchio edificio abbandonato.
Si sedette sulla panchina ad aspettare, la cola intonsa, non aveva il coraggio di berne nemmeno un sorso, per evitare che l’interruzione di quel rito scaramantico potesse portargli solo una cocente delusione.
Aspettò per una buona mezzora, ma del ragazzino nessuna traccia, Ralph pensò che quel suo strano tentativo di ritrovarlo, quella sua ricerca personale della felicità fosse stato un tentativo stupido, tutto sommato.
Si alzò dalla panchina e diede un sorso alla cola che si stava intiepidendo, stretta tra le dita.
Si girò intorno, ormai il pensiero del fallimento lasciò il posto alla curiosità di rendersi conto di come fosse strana la città intorno a lui.
In effetti non si era mai accorto di quel giardino abbandonato, circondato da quella recinzione parzialmente abbattuta, con grossi buchi nella rete deformata da sterpi e rovi che crescevano indisturbati.
Ogni giorno uscendo da scuola si fermava ad aspettare il torpedone, ma la frenesia e la voglia di tornare a casa velocemente lo rendevano spesso distratto al mondo che gli stava intorno.
Ralph era un ragazzino tutto particolare, il suo mondo era diverso da quello degli altri, pensava sempre che il suo modo di vivere e di vedere le cose fosse  indissolubilmente legato al fatto che lui si sentiva un prescelto, un uomo che nella vita avrebbe fatto grandi cose, avrebbe cambiato il mondo, inventato una lampadina a lunga durata, una macchina volante o trovato la ricetta per la eterna felicità.
Ralph era convinto di tutto questo, perché lui si sentiva assolutamente diverso, ma la consapevolezza di essere unico, lo faceva sentire terribilmente solo.
Si alzò dalla panchina e a passo lento, incuriosito, cominciò a camminare lungo la recinzione, fino a trovare un buco nella rete abbastanza grande per permettergli di entrare in quel selvatico e misterioso luogo abbandonato.
C’erano tra le sterpaglie e i rovi di more dei rami spezzati e un sentiero appena accennato, come se lui non fosse il primo ad attraversare quella porta.
Fece qualche passo, poi si voltò indietro, ritornò sui suoi passi, appoggiò la bottiglietta sul basso muretto in cemento che reggeva la recinzione e andò a riprendere la bicicletta.
La appoggiò vicino al buco di entrata, in modo che potesse essere in qualche modo più visibile al suo sguardo, poi prese la cola, diete una lunga sorsata e lentamente cominciò a percorrere quel sentiero appena accennato.
Una grossa siepe di lauro gli oscurava la visuale sul resto del giardino, i grossi rami che partivano dal basso gli permisero di accovacciarsi e strisciare sotto la siepe, strisciando su  un tappeto di foglie secche.
Come aveva visto nei film di guerra, fece il passo del giaguaro e un gomito dopo l’altro, si ritrovò aldilà di quel muro verde.
Si alzò sulle ginocchia, spolverandosi la maglietta, volse lo sguardo indietro, provò a chinarsi un po’ per guardare al di sotto della siepe cercando di riuscire a posare lo sguardo sulla bici, ma non riusciva a vederla.
Ebbe un attimo di esitazione, sospirò, con il pensiero che lasciare la bici incustodita sarebbe stato di sicuro un rischio, ma che  ne sarebbe valsa la pena, forse non avrebbe più avuto l’occasione di intrufolarsi in quel piccolo strano regno abbandonato.
Fece spallucce e si alzò in piedi, diritto, spalle aperte, si pulì con le mani la maglietta, passò le dita tra i capelli per scrollarsi di dosso rimasugli di foglie secche e ragnatele raccolte mentre strisciava sotto la siepe e spalancò gli occhi.
Meraviglioso, enorme, il giardino si estendeva in un parco che pareva più un bosco a causa del’abbandono, ma i suoni della città in quel mondo si affievolivano e si trasformavano in una magia tutta particolare.
Tra le fronde dei grossi tigli che crescevano poco distante, si disegnava una casa, ne scorgeva l’alto tetto rosso.
Ralph ebbe un sussulto, si sentì pervaso da un brivido di eccitazione, i peli delle braccia si fecero quasi diritti e le farfalle nello stomaco cominciarono a svolazzare. Come una lavagna bianca, vergine, tutto ciò che suoi occhi vedevano per la prima volta,  lo trascrivevano nella sua memoria marcando a fuoco le sue emozioni.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 21 giugno 2016

Steccalecca...e una cola ghiacciata ...continua...

... continua ...


Ralph era educato, riservato, al limite della timidezza, prese il gelato ringraziando il barista e fece due passi verso l’uscita, poi si fermò, si girò verso l’uomo dietro al bancone e gli chiese la strada più breve per raggiungere la scuola.
L’uomo fu gentile, anche se un po’ sorpreso per la curiosa domanda, evidentemente lo aveva preso per un ragazzino di città e questo riempì Ralph di orgoglio; gli diede delle indicazioni precise, la scuola non era poi così lontana, dopo il tortuoso tragitto quella per Ralph pareva una vera passeggiata.
Ringraziò nuovamente il barista, uscì sul marciapiede e si sedette al tavolo.
Scartò il gelato, bianco, brillante, usò la carta per tenere in mano il nero stecco di liquirizia per evitare di sporcarsi le mani, sarebbe stata un’accortezza inutile, tanto sapeva che si sarebbe sporcato comunque, ma tanto valeva provarci.
Non si fermò a  gustare l’intero gelato seduto, non ce la faceva,  la voglia di arrivare davanti alla scuola il prima possibile era irresistibile, decise di spingere la bici e mangiare il gelato camminando, avrebbe recuperato un po’ di tempo.
Camminava sul marciapiede, la bici tenuta per il manubrio, il gelato benché non facesse ancora caldissimo si sciolse velocemente, le gocce appiccicose di zucchero e limone gli si addensarono sulle dita, tanto da rendere inutile il pezzo di carta attorno allo stecco, anzi peggiorava la situazione.
Fece una pallina di carta appiccicosa e appena incrociò il primo cesto di immondizia la buttò via.
 Si mise a succhiare voracemente il duro stecco freddo di liquirizia, era così buona e fresca,  era felice Ralph, deliziato da quel gelato e dalla sua giornata che aveva preso, dopo le prime difficoltà incontrate, una piega decisamente positiva.
Decise di saltare in sella alla bici, lo stecco in bocca, come un gangster con il sigaro penzolante dalle labbra, si sentiva un duro dei sobborghi, pedalava schiena diritta, lo zainetto sulle spalle e quel sorriso sul volto che diventava nero come l’inchiostro man mano che lo stecco si consumava tra i denti.
Niente più dolore, nessuna preoccupazione, Ralph era la felicità fatta persona, sentiva che quel momento sarebbe rimasto un ricordo vivo ed indelebile tra i molti che avrebbe avuto nei giorni a venire.
Seguì alla lettera le indicazioni del barista e in poco tempo fu davanti alla scuola, la sensazione strana di vedere tutte le porte e le finestre chiuse, vista da fuori, in quei giorni di vacanza, aveva un alone di tristezza, sembrava solo un edificio vecchio e abbandonato.
Si fermò per qualche istante davanti al cancello chiuso del cortile di ingresso, non scese dalla bici, restò in sella, tenendosi in equilibrio con la mano aggrappata alle sbarre.
Si guardò intorno, il sole caldo cominciava a dargli fastidio, pose lo sguardo aldilà del marciapiede, verso il fondo della strada, dove era la fermata del torpedone.
Lasciò andare il cancello e cominciò a pedalare alzandosi in piedi, scese il marciapiede e attraversò la strada, raggiunse la fermata, la panchina al sole era vuota e desolata, abbandonata in un’attesa lunga quanto l’estate stessa.
Ralph fece tre giri intorno alla panchina,  poi riattraversò la strada e si portò davanti al piccolo bar dove quell'ultimo giorno di scuola aveva preso la cola fresca.
Decise di ripetere in modo quasi rituale, scaramantico e propiziatorio, le stesse cose che fece quel giorno.
Appoggiò la bicicletta al muro, entrò nel bar e chiese una bottiglietta di cola, si faceva sempre i conti in tasca Ralph, i soldi di certo non gli crescevano in tasca e non erano molti quelli che riusciva a mettere da parte, ma quella cola per lui era troppo importante, perché dentro di se sapeva che quello sarebbe stato sacrificio per fargli incontrare nuovamente quello strano minuto ragazzino.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©


venerdì 17 giugno 2016

...stecco alla liquirizia, grazie.... ...continua...

...continua...


Le casette si susseguivano come un avamposto della civilizzazione, piccoli giardini piantumati ricchi di fiori e piante, era questo un bel biglietto da visita per chi entrava in città passando dalle campagne.
Ralph rallentò incrociando il passaggio a livello, le sbarre a strisce bianche e rosse erano alzate, l’omino nella guardiola non lo notò nemmeno mentre lentamente passava sopra i binari.
Si fermò per qualche istante proprio nel mezzo, guardò a destra e a sinistra, i lunghi binari luccicavano alla luce del sole, quasi in sego di sfida, sprezzante del pericolo, proprio come un cavaliere a cavallo di un nero destriero, Ralph fece spallucce e si rimise a pedalare lungo la strada che portava verso il centro abitato.
Non era molto pratico della città, del resto in città ci andava a scuola la mattina e qualche volta la domenica accompagnando suo padre a comprare le paste  o a fare la spesa nell'unico grosso supermercato allora presente in centro, vicino alla stazione ferroviaria.
No, Ralph non era ometto da città, lui era pratico delle campagne, del suo regno attorno alla casa di campagna dove era nato.
Si sentiva come un pesce fuor d’acqua, avrebbe voluto essere un ragazzo di città, girare per i vicoli, arrampicarsi sui muri tra i cortili, salire sui tetti delle case,  far parte di quei racconti che i compagni di scuola gli narravano ogni giorno.
Ralph non era un ragazzo di città e lo sapeva bene, ma questa avventura avrebbe potuto raccontarla ai suoi compagni una volta tornato a scuola dopo le vacanze estive.
La strada si trasformò in via, senza che Ralph nemmeno se ne accorgesse, si ritrovò dentro la città come per incanto, come attraverso uno specchio.
Il mondo che gli si presentava davanti era  così diverso,  i rumori, i suoni, gli odori, i profumi, tutto era così nuovo, la città vista la mattina presto era, per Ralph,  una scoperta nuova, un cosmo di nuovi stimoli e attrazioni, tutto attirava la sua attenzione, la gente, le auto, i negozi, la vita stessa della città era un continuo esaltante bombardamento di nuove sensazioni.
Pedalava lentamente, stando attento alle macchine, procedeva a bordo via, distratto dalle persone che camminavano sui marciapiedi, dai bambini che correvano attraversando veloci la strada per scomparire nei cortili interni tra un palazzo e l’altro.
Non riusciva  a trovare nessun punto di riferimento conosciuto,  girare a vuoto lo rendeva particolarmente nervoso e preoccupato, l’orologio correva veloce anche se il tempo sembra scorrere così lentamente tra le luci e le ombre della città.
Ralph prese la decisione di fermarsi, salì con la bici sul marciapiede, si diresse verso l’insegna di un bar, i piccoli tavolini rotondi, colorati di rosso erano circondati da variopinte sedie in plastica colorata,  gialle, azzurre, rosse, verdi.
La seduta ricordava quella di sedie impagliate, ma erano fatte con morbidi, spessi fili di in plastica, attorcigliati a cromati tubi di ferro.
Appoggiò la bicicletta al muro e come un viaggiatore esperto, come un cliente abituale si sedette su una di quelle colorate sedie, appoggiò lo zainetto sulla sedia di fronte e attese che qualcuno venisse a prendere un’ordinazione.
Sembrava un piccolo ometto, serio, attento, per nulla imbarazzato e per nulla teso, almeno all'apparenza.
Aspettò un po’, poi si alzò dalla sedia e si diresse verso un’insegna in alluminio, sul marciapiede, vicino alla vetrata del bar, c’erano le foto di gelati di ogni tipo, coni rotondi con pralinato alle nocciole, coni classici al gusto crema e cioccolato, coppe ricche di gusti, alla frutta, al caffè, ghiaccioli multicolori e persino un gelato con lo stecco in liquirizia che potevi mangiare.
Sull'altro lato dell’insegna c’erano le foto di torte gelato e grossi barattoli uso famiglia, l’imbarazzo della scelta era tanto, c’erano fin troppi gelati da poter scegliere.
Ralph controllò i prezzi, perché indipendentemente dal gusto quello che veramente contava era se lui se lo poteva permettere, senza intaccare troppo i soldi risparmiati con tanta parsimonia.
Sentì bussare contro il vetro, il barista fece un cenno con la mano, come per chiamarlo all'interno del locale, Ralph si scostò indietro, lasciò passare qualche istante poi mise piede dentro il bar.

Il bancone era così alto che Ralph non riusciva quasi ad appoggiarci le mani sopra, prese di tasca un paio di monete e chiese al barista il gelato con lo stecco alla liquirizia.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

giovedì 16 giugno 2016

lance in resta... ..continua...

...continua...


Pedalare tra i campi di grano era come passare tra migliaia di soldati in parata, un’armata d’oro con lance in resta, tutti a rendere omaggio al cavaliere solitario che si apprestava a portare avanti un’impresa degna di un re.
Ralph era così euforico e orgoglioso di se, come ancora non lo era stato nella sua breve vita.
Pedalava a testa alta, schiena diritta, ogni tanto accennava un saluto a quell’immaginario esercito, ora a destra ora a sinistra, con il capo cenni di approvazione e gratitudine, era una parata con Ralph in alta uniforme, le ferite in mostra,  indicandole con le mani, con soddisfazione e ad ogni cicatrice mostrata si alzavano i cori e si piegavano i capi, sospinti da una leggera brezza, mentre le rondini si alzavano volando radenti a sfiorare le punte delle lame.
Un fischio lontano, il fischio di un treno, riportò Ralph sulla strada, si alzò in piedi pedalando, si erse al di sopra delle spighe del grano e vide dove i campi coltivati finivano e la radura lasciava lo spazio a campi di fieno tagliati.
In lontananza file di alberi segnavano i confini dei campi e nascondevano la vista alla città, non molto lontana, aldilà del fiume.
Seguì il fischio del treno e il rumore metallico che si allontanava in una cadenza ritmata, quasi fossero tamburi di nobili indiani.
Li dove terminavano i campi d’orati, lo sterrato  incrociava un’altra vicinale che perpendicolarmente tagliava la lunga radura in due parti, il fondo era coperto di fine ghiaino cotto dal sole e coperto da una patina di bianca polvere .
Ralph si diresse a sinistra dell’incrocio, si portò nuovamente verso il fiume alla ricerca di un passaggio per poterlo attraversare.
Man mano che la strada proseguiva si innalzava leggermente, poco alla volta, fino a che Ralph notò di stare pedalando al di sopra dei campi, la stradina rialzata leggermente in salita si interrompeva al bordo di un ponte in cemento,  non molto largo, giusto lo spazio per il passaggio di un trattore.
Il fondo del ponte era asfaltato, le ruote impolverate lasciarono subito  marcate impronte bianche sul fondo, sempre meno evidenti man mano che Ralph avanzava.
A metà del ponte si fermò, si appoggiò con i piedi al parapetto in ferro e con la mano si tenne in equilibrio, senza scendere dalla bici,
Il fiume al disotto, nel suo letto scorreva  lento, l’acqua scura rifletteva i raggi del sole e il blu del cielo che si frammezzava tra le fronde delle piante che crescevano sulle due rive opposte.
Grigi aironi spiccavano brevi e gentili voli spiegando le loro larghe ali, planavano come aquiloni sopra il pelo dell’acqua, per poi concedersi qualche passetto di danza ritrovando il solido terreno.
Era veramente un mondo tutto da scoprire, Ralph avrebbe voluto avere dietro una macchina fotografica per fissare tutta quella bellezza, ma non ne aveva una e si accontentò di lasciare che tutto si impressionasse a fuoco nella sua mente., con la sola spiacevole conseguenza che nessun altro, oltre a lui, ne avrebbe potuto godere.
Si lasciò il ponte alle spalle, la strada proseguiva asfaltata, stretta, una piccola strada asfaltata di campagna, sulle rive crescevano robinie alte e sottili, cariche di foglioline ovali che ondeggiavano come migliaia di campanelli mossi dal vento.
Ci aveva messo più tempo del previsto ad arrivare fino a li, ma quella stradina secondaria lo avrebbe portato in città senza incappare in ulteriori ritardi e senza rischiare di essere costantemente investito da qualche autista con il piede troppo pesante.

I pali del telefono che correvano paralleli alla strada segnalavano la fine delle campagne e l’inizio della periferia della città, Ralph si fermò all’ombra sul bordo della carreggiata, estrasse la borraccia dallo zaino e diede una bella sorsata d’acqua, poi si rimise a pedalare, deciso, fermo, l’intenzione era quella di arrivare il prima possibile in città.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©

martedì 14 giugno 2016

... continua ... lavarsi l'anima ...


... continua ...

Ralph percorse quel piccolo sentiero stretto, appena segnato, scese dalla bici e cominciò a spingerla, facendosi largo tra le fronde di salici rossi che crescevano diritti e fitti segnando il limite della selva e l’inizio del letto del fiume.
Le pietre sul sentiero sempre più numerose, sempre più grosse rendevano difficoltoso spingere la bici seguendo un percorso diritto.
Ralph superò le ultime fronde e si trovò di fronte al fiume, largo, lento, l’acqua scura e intensa, il silenzio era l’unico suono che si udiva in quell’angolo di mondo che era ciò che più si avvicinava alla sua idea di paradiso.
Lasciò cadere la bici per terra, si tolse lo zaino dalle spalle e lo appoggiò sopra i raggi della ruota, saltellando tra una bianca pietra e un’altra si avvicinò all’acqua.
Ralph seguì con lo sguardo il letto da monte a valle, scrutando la riva opposta, in quel punto il fiume si allargava di molto, formando una specie di lago naturale.
Più a valle avrebbe dovuto attraversare e la sua speranza era che ci fosse un ponte o una diga su cui passare sopra.
Si tolse le scarpe e le corte calze di cotone aggredite dai semi di bardana e  nappola che cresceva rigogliosa in quell’ambiente caldo e umido, appoggiò la maglietta sporca di macchie di terra ed erba sul sellino della bici e lentamente entrò nell’acqua.
Un brivido salì lungo la schiena di Ralph, l’acqua era ancora fredda, camminò fino ad arrivare a farsi coprire le ginocchia, il limo sul fondo si alzò come una nuvola di latte dentro una calda tazza di tè, ad ogni suo passo.
Ralph si sciacquò le mani, le spalle, la faccia, più restava immerso nell’acqua e più diventava piacevole.
Passò delicatamente le mani sopra i garretti, massaggiandosi i graffi e le escoriazioni, quella sensazione di bruciore e dolore quasi piacevole gli facevano venire la pelle d’oca.
Restò fermo, lasciando che la debole corrente che scorreva vicino alla riva portasse via il fango sospeso, l’acqua trasparente, i piedi semi coperti dal lieve strato di limo del fondo venivano bersagliati dai delicati morsi dei minuscoli  barbi e cavedani, incuranti del pericolo, indifferenti alla presenza di Ralph.
Un lieve movimento e l’acqua tornava ad intorpidirsi, Ralph fece ancora qualche passo in avanti, l’acqua gli bagnava quasi i calzoncini corti, era così bello restare in mezzo al fiume immerso in quel silenzio così naturale.
Al centro di quello slargo, così simile ad un lago, piccoli anelli di acqua si formavano ogni vola che i pesci più grandi si nutrivano degli insetti sul pelo dell’acqua.
La natura, il cinguettio continuo di decine di uccelli tra le fronde degli alberi che si addossavano alle due rive, il riflesso del sole che si frastagliava tra le onde, il volo radente delle iridescenti libellule, tutto era pace e bellezza, un tempo infinito, un istante lungo come il fiume.
Ralph fu quasi dispiaciuto di non potersi fermare a fare un bel tuffo, ma la giornata era lunga e i suo obiettivo era decisamente un altro.
Tornò a riva salendo sulle pietre intiepidite dal sole per non sporcarsi i piedi di limaccio, si asciugò i piedi alla bell’e meglio, si rinfilò i calzini pulendoli dai fastidiosi semi che ci si erano aggrappati, infilò le scarpe e dopo averla scrollata indossò la maglietta.
Riprese a percorrere a ritroso il sentiero fatto, lo zainetto sulle spalle gli dava fastidio alla spalla sgarrupata, i graffi sulle gambe e le punture di ortica ricominciarono a dargli fastidio, le sonnolenti zanzare  del sottobosco cominciarono a sentire l’odore di quel lauto banchetto e fu così che Ralph cominciò a passo svelto a spingere la bici verso la stradina principale.
Appena gli fu possibile, salì in sella e cominciò a pedalare come un indemoniato.
Veloce percorreva quella stradina che lentamente si allontanava dalla riva del fiume, gli alberi si facevano sempre più radi, file di pioppi neri delimitavano il margine del bosco con una matematica precisione, fino a terminare la loro corsa ai limiti di un prato coltivato.
La luce imperava sulla radura, il grano maturo rifletteva di giallo oro i raggi del sole abbagliando la vista di Ralph .
La stradina umida e scura lasciò il posto a una strada sterrata, asciutta e polverosa, rosso ocra, al cui centro crescevano rigogliose le erbe di campo.
Gli ultimi Papaveri rosso fuoco e il profumo in fiore della camomilla adornavano i bordi del campo di grano ai lati della strada.
Il vento sulla pelle e la polvere che si attaccava alle umide gambe, Ralph cominciò a gridare a squarcia gola, poi il grido si trasformò in un canto, il ritmo delle pedalate diminuì e il canto si trasformò in un fischiettio lieto e tranquillo, il sole alto scaldava le spalle, il dolore al polso era sparito, Ralph era felice e la città era sempre più vicina.

Continua

Precedente

Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©