
Ralph era educato, riservato, al
limite della timidezza, prese il gelato ringraziando il barista e fece due
passi verso l’uscita, poi si fermò, si girò verso l’uomo dietro al bancone e gli
chiese la strada più breve per raggiungere la scuola.
L’uomo fu gentile, anche se un po’
sorpreso per la curiosa domanda, evidentemente lo aveva preso per un ragazzino
di città e questo riempì Ralph di orgoglio; gli diede delle indicazioni
precise, la scuola non era poi così lontana, dopo il tortuoso tragitto quella
per Ralph pareva una vera passeggiata.
Ringraziò nuovamente il barista,
uscì sul marciapiede e si sedette al tavolo.
Scartò il gelato, bianco,
brillante, usò la carta per tenere in mano il nero stecco di liquirizia per evitare
di sporcarsi le mani, sarebbe stata un’accortezza inutile, tanto sapeva che si
sarebbe sporcato comunque, ma tanto valeva provarci.
Non si fermò a gustare l’intero gelato seduto, non ce la
faceva, la voglia di arrivare davanti
alla scuola il prima possibile era irresistibile, decise di spingere la bici e
mangiare il gelato camminando, avrebbe recuperato un po’ di tempo.
Camminava sul marciapiede, la
bici tenuta per il manubrio, il gelato benché non facesse ancora caldissimo si
sciolse velocemente, le gocce appiccicose di zucchero e limone gli si
addensarono sulle dita, tanto da rendere inutile il pezzo di carta attorno allo
stecco, anzi peggiorava la situazione.
Fece
una pallina di carta appiccicosa e appena incrociò il primo cesto di immondizia
la buttò via.
Si mise a succhiare voracemente il duro stecco
freddo di liquirizia, era così buona e fresca, era felice Ralph, deliziato da quel gelato e
dalla sua giornata che aveva preso, dopo le prime difficoltà incontrate, una
piega decisamente positiva.
Decise di saltare in sella alla
bici, lo stecco in bocca, come un gangster con il sigaro penzolante dalle
labbra, si sentiva un duro dei sobborghi, pedalava schiena diritta, lo zainetto
sulle spalle e quel sorriso sul volto che diventava nero come l’inchiostro man
mano che lo stecco si consumava tra i denti.
Niente più dolore, nessuna
preoccupazione, Ralph era la felicità fatta persona, sentiva che quel momento
sarebbe rimasto un ricordo vivo ed indelebile tra i molti che avrebbe avuto nei
giorni a venire.
Seguì alla lettera le indicazioni
del barista e in poco tempo fu davanti alla scuola, la sensazione strana di
vedere tutte le porte e le finestre chiuse, vista da fuori, in quei giorni di
vacanza, aveva un alone di tristezza, sembrava solo un edificio vecchio e
abbandonato.
Si fermò per qualche istante
davanti al cancello chiuso del cortile di ingresso, non scese dalla bici, restò
in sella, tenendosi in equilibrio con la mano aggrappata alle sbarre.
Si guardò intorno, il sole caldo
cominciava a dargli fastidio, pose lo sguardo aldilà del marciapiede, verso il
fondo della strada, dove era la fermata del torpedone.
Lasciò andare il cancello e
cominciò a pedalare alzandosi in piedi, scese il marciapiede e attraversò la
strada, raggiunse la fermata, la panchina al sole era vuota e desolata, abbandonata
in un’attesa lunga quanto l’estate stessa.
Ralph fece tre giri intorno alla
panchina, poi riattraversò la strada e
si portò davanti al piccolo bar dove quell'ultimo giorno di scuola aveva preso
la cola fresca.
Decise di ripetere in modo quasi
rituale, scaramantico e propiziatorio, le stesse cose che fece quel giorno.
Appoggiò la bicicletta al muro,
entrò nel bar e chiese una bottiglietta di cola, si faceva sempre i conti in
tasca Ralph, i soldi di certo non gli crescevano in tasca e non erano molti
quelli che riusciva a mettere da parte, ma quella cola per lui era troppo importante,
perché dentro di se sapeva che quello sarebbe stato sacrificio per fargli
incontrare nuovamente quello strano minuto ragazzino.
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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©
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