
La bottiglietta di cola fresca tra le mani, la bici
appoggiata al muro, il sole che si ergeva rapido rimpicciolendo le ombre degli
uomini e delle cose.
Attraversò la strada spingendo la bicicletta con un mano,
mentre con l’altra teneva stretta la bottiglia, quando giunse dall’altra parte,
appoggiò la bicicletta contro la recinzione che separava il marciapiede dal
giardino incolto di un vecchio edificio abbandonato.
Si sedette sulla panchina ad aspettare, la cola intonsa, non
aveva il coraggio di berne nemmeno un sorso, per evitare che l’interruzione di
quel rito scaramantico potesse portargli solo una cocente delusione.
Aspettò per una buona mezzora, ma del ragazzino nessuna
traccia, Ralph pensò che quel suo strano tentativo di ritrovarlo, quella sua
ricerca personale della felicità fosse stato un tentativo stupido, tutto
sommato.
Si alzò dalla panchina e diede un sorso alla cola che si
stava intiepidendo, stretta tra le dita.
Si girò intorno, ormai il pensiero del fallimento lasciò il
posto alla curiosità di rendersi conto di come fosse strana la città intorno a
lui.
In effetti non si era mai accorto di quel giardino
abbandonato, circondato da quella recinzione parzialmente abbattuta, con grossi
buchi nella rete deformata da sterpi e rovi che crescevano indisturbati.
Ogni giorno uscendo da scuola si fermava ad aspettare il
torpedone, ma la frenesia e la voglia di tornare a casa velocemente lo
rendevano spesso distratto al mondo che gli stava intorno.
Ralph era un ragazzino tutto particolare, il suo mondo era
diverso da quello degli altri, pensava sempre che il suo modo di vivere e di vedere
le cose fosse indissolubilmente legato
al fatto che lui si sentiva un prescelto, un uomo che nella vita avrebbe fatto
grandi cose, avrebbe cambiato il mondo, inventato una lampadina a lunga durata,
una macchina volante o trovato la ricetta per la eterna felicità.
Ralph era convinto di tutto questo, perché lui si sentiva assolutamente
diverso, ma la consapevolezza di essere unico, lo faceva sentire terribilmente
solo.
Si alzò dalla panchina e a passo lento, incuriosito,
cominciò a camminare lungo la recinzione, fino a trovare un buco nella rete
abbastanza grande per permettergli di entrare in quel selvatico e misterioso
luogo abbandonato.
C’erano tra le sterpaglie e i rovi di more dei rami spezzati
e un sentiero appena accennato, come se lui non fosse il primo ad attraversare
quella porta.
Fece qualche passo, poi si voltò indietro, ritornò sui suoi
passi, appoggiò la bottiglietta sul basso muretto in cemento che reggeva la
recinzione e andò a riprendere la bicicletta.
La appoggiò vicino al buco di entrata, in modo che potesse
essere in qualche modo più visibile al suo sguardo, poi prese la cola, diete
una lunga sorsata e lentamente cominciò a percorrere quel sentiero appena
accennato.
Una grossa siepe di lauro gli oscurava la visuale sul resto
del giardino, i grossi rami che partivano dal basso gli permisero di accovacciarsi
e strisciare sotto la siepe, strisciando su
un tappeto di foglie secche.
Come aveva visto nei film di guerra, fece il passo del
giaguaro e un gomito dopo l’altro, si ritrovò aldilà di quel muro verde.
Si alzò sulle ginocchia, spolverandosi la maglietta, volse
lo sguardo indietro, provò a chinarsi un po’ per guardare al di sotto della
siepe cercando di riuscire a posare lo sguardo sulla bici, ma non riusciva a
vederla.
Ebbe un attimo di esitazione, sospirò, con il pensiero che
lasciare la bici incustodita sarebbe stato di sicuro un rischio, ma che ne sarebbe valsa la pena, forse non avrebbe
più avuto l’occasione di intrufolarsi in quel piccolo strano regno abbandonato.
Fece spallucce e si alzò in piedi, diritto, spalle aperte,
si pulì con le mani la maglietta, passò le dita tra i capelli per scrollarsi di
dosso rimasugli di foglie secche e ragnatele raccolte mentre strisciava sotto
la siepe e spalancò gli occhi.
Meraviglioso, enorme, il giardino si estendeva in un parco
che pareva più un bosco a causa del’abbandono, ma i suoni della città in quel
mondo si affievolivano e si trasformavano in una magia tutta particolare.
Tra le fronde dei grossi tigli che crescevano poco distante,
si disegnava una casa, ne scorgeva l’alto tetto rosso.
Ralph ebbe un sussulto, si sentì pervaso da un brivido di
eccitazione, i peli delle braccia si fecero quasi diritti e le farfalle nello
stomaco cominciarono a svolazzare. Come una lavagna bianca, vergine, tutto ciò che suoi occhi
vedevano per la prima volta, lo
trascrivevano nella sua memoria marcando a fuoco le sue emozioni.
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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©
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