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martedì 21 giugno 2016

Steccalecca...e una cola ghiacciata ...continua...

... continua ...


Ralph era educato, riservato, al limite della timidezza, prese il gelato ringraziando il barista e fece due passi verso l’uscita, poi si fermò, si girò verso l’uomo dietro al bancone e gli chiese la strada più breve per raggiungere la scuola.
L’uomo fu gentile, anche se un po’ sorpreso per la curiosa domanda, evidentemente lo aveva preso per un ragazzino di città e questo riempì Ralph di orgoglio; gli diede delle indicazioni precise, la scuola non era poi così lontana, dopo il tortuoso tragitto quella per Ralph pareva una vera passeggiata.
Ringraziò nuovamente il barista, uscì sul marciapiede e si sedette al tavolo.
Scartò il gelato, bianco, brillante, usò la carta per tenere in mano il nero stecco di liquirizia per evitare di sporcarsi le mani, sarebbe stata un’accortezza inutile, tanto sapeva che si sarebbe sporcato comunque, ma tanto valeva provarci.
Non si fermò a  gustare l’intero gelato seduto, non ce la faceva,  la voglia di arrivare davanti alla scuola il prima possibile era irresistibile, decise di spingere la bici e mangiare il gelato camminando, avrebbe recuperato un po’ di tempo.
Camminava sul marciapiede, la bici tenuta per il manubrio, il gelato benché non facesse ancora caldissimo si sciolse velocemente, le gocce appiccicose di zucchero e limone gli si addensarono sulle dita, tanto da rendere inutile il pezzo di carta attorno allo stecco, anzi peggiorava la situazione.
Fece una pallina di carta appiccicosa e appena incrociò il primo cesto di immondizia la buttò via.
 Si mise a succhiare voracemente il duro stecco freddo di liquirizia, era così buona e fresca,  era felice Ralph, deliziato da quel gelato e dalla sua giornata che aveva preso, dopo le prime difficoltà incontrate, una piega decisamente positiva.
Decise di saltare in sella alla bici, lo stecco in bocca, come un gangster con il sigaro penzolante dalle labbra, si sentiva un duro dei sobborghi, pedalava schiena diritta, lo zainetto sulle spalle e quel sorriso sul volto che diventava nero come l’inchiostro man mano che lo stecco si consumava tra i denti.
Niente più dolore, nessuna preoccupazione, Ralph era la felicità fatta persona, sentiva che quel momento sarebbe rimasto un ricordo vivo ed indelebile tra i molti che avrebbe avuto nei giorni a venire.
Seguì alla lettera le indicazioni del barista e in poco tempo fu davanti alla scuola, la sensazione strana di vedere tutte le porte e le finestre chiuse, vista da fuori, in quei giorni di vacanza, aveva un alone di tristezza, sembrava solo un edificio vecchio e abbandonato.
Si fermò per qualche istante davanti al cancello chiuso del cortile di ingresso, non scese dalla bici, restò in sella, tenendosi in equilibrio con la mano aggrappata alle sbarre.
Si guardò intorno, il sole caldo cominciava a dargli fastidio, pose lo sguardo aldilà del marciapiede, verso il fondo della strada, dove era la fermata del torpedone.
Lasciò andare il cancello e cominciò a pedalare alzandosi in piedi, scese il marciapiede e attraversò la strada, raggiunse la fermata, la panchina al sole era vuota e desolata, abbandonata in un’attesa lunga quanto l’estate stessa.
Ralph fece tre giri intorno alla panchina,  poi riattraversò la strada e si portò davanti al piccolo bar dove quell'ultimo giorno di scuola aveva preso la cola fresca.
Decise di ripetere in modo quasi rituale, scaramantico e propiziatorio, le stesse cose che fece quel giorno.
Appoggiò la bicicletta al muro, entrò nel bar e chiese una bottiglietta di cola, si faceva sempre i conti in tasca Ralph, i soldi di certo non gli crescevano in tasca e non erano molti quelli che riusciva a mettere da parte, ma quella cola per lui era troppo importante, perché dentro di se sapeva che quello sarebbe stato sacrificio per fargli incontrare nuovamente quello strano minuto ragazzino.

Continua

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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©


venerdì 17 giugno 2016

...stecco alla liquirizia, grazie.... ...continua...

...continua...


Le casette si susseguivano come un avamposto della civilizzazione, piccoli giardini piantumati ricchi di fiori e piante, era questo un bel biglietto da visita per chi entrava in città passando dalle campagne.
Ralph rallentò incrociando il passaggio a livello, le sbarre a strisce bianche e rosse erano alzate, l’omino nella guardiola non lo notò nemmeno mentre lentamente passava sopra i binari.
Si fermò per qualche istante proprio nel mezzo, guardò a destra e a sinistra, i lunghi binari luccicavano alla luce del sole, quasi in sego di sfida, sprezzante del pericolo, proprio come un cavaliere a cavallo di un nero destriero, Ralph fece spallucce e si rimise a pedalare lungo la strada che portava verso il centro abitato.
Non era molto pratico della città, del resto in città ci andava a scuola la mattina e qualche volta la domenica accompagnando suo padre a comprare le paste  o a fare la spesa nell'unico grosso supermercato allora presente in centro, vicino alla stazione ferroviaria.
No, Ralph non era ometto da città, lui era pratico delle campagne, del suo regno attorno alla casa di campagna dove era nato.
Si sentiva come un pesce fuor d’acqua, avrebbe voluto essere un ragazzo di città, girare per i vicoli, arrampicarsi sui muri tra i cortili, salire sui tetti delle case,  far parte di quei racconti che i compagni di scuola gli narravano ogni giorno.
Ralph non era un ragazzo di città e lo sapeva bene, ma questa avventura avrebbe potuto raccontarla ai suoi compagni una volta tornato a scuola dopo le vacanze estive.
La strada si trasformò in via, senza che Ralph nemmeno se ne accorgesse, si ritrovò dentro la città come per incanto, come attraverso uno specchio.
Il mondo che gli si presentava davanti era  così diverso,  i rumori, i suoni, gli odori, i profumi, tutto era così nuovo, la città vista la mattina presto era, per Ralph,  una scoperta nuova, un cosmo di nuovi stimoli e attrazioni, tutto attirava la sua attenzione, la gente, le auto, i negozi, la vita stessa della città era un continuo esaltante bombardamento di nuove sensazioni.
Pedalava lentamente, stando attento alle macchine, procedeva a bordo via, distratto dalle persone che camminavano sui marciapiedi, dai bambini che correvano attraversando veloci la strada per scomparire nei cortili interni tra un palazzo e l’altro.
Non riusciva  a trovare nessun punto di riferimento conosciuto,  girare a vuoto lo rendeva particolarmente nervoso e preoccupato, l’orologio correva veloce anche se il tempo sembra scorrere così lentamente tra le luci e le ombre della città.
Ralph prese la decisione di fermarsi, salì con la bici sul marciapiede, si diresse verso l’insegna di un bar, i piccoli tavolini rotondi, colorati di rosso erano circondati da variopinte sedie in plastica colorata,  gialle, azzurre, rosse, verdi.
La seduta ricordava quella di sedie impagliate, ma erano fatte con morbidi, spessi fili di in plastica, attorcigliati a cromati tubi di ferro.
Appoggiò la bicicletta al muro e come un viaggiatore esperto, come un cliente abituale si sedette su una di quelle colorate sedie, appoggiò lo zainetto sulla sedia di fronte e attese che qualcuno venisse a prendere un’ordinazione.
Sembrava un piccolo ometto, serio, attento, per nulla imbarazzato e per nulla teso, almeno all'apparenza.
Aspettò un po’, poi si alzò dalla sedia e si diresse verso un’insegna in alluminio, sul marciapiede, vicino alla vetrata del bar, c’erano le foto di gelati di ogni tipo, coni rotondi con pralinato alle nocciole, coni classici al gusto crema e cioccolato, coppe ricche di gusti, alla frutta, al caffè, ghiaccioli multicolori e persino un gelato con lo stecco in liquirizia che potevi mangiare.
Sull'altro lato dell’insegna c’erano le foto di torte gelato e grossi barattoli uso famiglia, l’imbarazzo della scelta era tanto, c’erano fin troppi gelati da poter scegliere.
Ralph controllò i prezzi, perché indipendentemente dal gusto quello che veramente contava era se lui se lo poteva permettere, senza intaccare troppo i soldi risparmiati con tanta parsimonia.
Sentì bussare contro il vetro, il barista fece un cenno con la mano, come per chiamarlo all'interno del locale, Ralph si scostò indietro, lasciò passare qualche istante poi mise piede dentro il bar.

Il bancone era così alto che Ralph non riusciva quasi ad appoggiarci le mani sopra, prese di tasca un paio di monete e chiese al barista il gelato con lo stecco alla liquirizia.

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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©