giovedì 28 luglio 2016
lunedì 25 luglio 2016
Continua... Da ora in poi, amici...

Quella lunga giornata sembrò non finire mai, Ralph e Jack
scesero dalla soffitta ricoperti da uno strato di nera polvere, ma entrambi con
un sorriso che ne faceva risaltare i volti e la purezza delle loro anime ancora
intonse, vergini.
Quanto resta di momenti così, lungo la propria esistenza? Quanto
possono persistere i ricordi dentro una scatola vuota? Con il tempo il vento logora
la superficie dei ricordi, come una statua in marmo, ne rimangono i contorni, a
stento se ne riesce a vedere la forma, tanto
che spesso il suo contenuto resta immaginario.
Così il tempo che lavora sui ricordi, ne cancella i
contorni, le sfumature più fini, man mano che scorre, i ricordi rimangono aggrappati
gli uni agli altri, spesso confondendosi, ed allora, abbiamo la necessita di
avere qualcuno vicino con cui li abbiamo condivisi, per ricostruirli, per
rigenerarli.
Si perdono però, incondizionatamente, inevitabilmente, tra i flussi del tempo e si mischiano con
molti altri, fino a trasformarsi spesso in un’immagine vaga, eterea, a volte
sfuggevole, così delicatamente fragile che la mancanza di qualcuno con cui hai
assaporato la vita li rende vitrei, diafani, impalpabili, destinati all’inevitabilità
dell’oblio.
Corsero dentro e fuori le stanze, tra i raggi di luci ed
ombre, tra sussulti e stupore, tra paura e meraviglia.
Jack conosceva a menadito la vecchia casa e fece scoprire a
Ralph un mondo completamente nuovo, così incredibilmente vicino e così drasticamente
lontano dalla sua vita.
Erano una scatola vuota, un serbatoio da riempire, per poter
sfruttare quell’energia che la vita ti da durante quegli anni in cui tutto ti è
dovuto, in cui tutto ciò che impari a conoscere viene assorbito senza filtro,
accumulato, stipato, aggiunto, conservato e gelosamente protetto per sempre,
fino alla fine.
In quegli anni metti a cassa un credito che poi ti servirà
per pagare i debiti ed appagare i debitori, una moneta che non ha prezzo, una
moneta che non puoi comprare, ma che ti può essere solo regalata.
Questo fecero Jack e Ralph, a partire da quella calda
mattina d’estate, un patto non scritto, che li avrebbe tenuti insieme per la
vita, arricchendoli entrambi, ricoprendoli d’oro e argento, come cavalieri
destinati a chissà quale destino.
Di una cosa erano consapevoli, insieme si sarebbero
completati, come il bianco e il nero, come l’acqua e il fuoco, insieme erano il
tutto e il niente.
Il tempo volò veloce, mente il sole girava vorticosamente
sopra le loro teste inclinando le loro ombre
sul terreno.
Si arrampicarono, sopra i vecchi incolti alberi da frutta
che disseminavano il terreno ora di piccole mele verdi, ora di succulenti
albicocche giallo oro, per spezzare la fame del caldo mezzogiorno e si divisero
l’acqua della borraccia di Ralph e quel gustoso panino che aveva preparato la mattina
presto senza farsi notare.
Fu rapidamente tardo pomeriggio e Jack fu costretto a
separarsi da quel suo nuovo, unico, grande amico, a casa si stavano di sicuro
preoccupando di lui, visto che non si era fatto vivo per tutta la mattina e
nemmeno all’ora di pranzo, lo stesso valeva per Ralph, i suoi genitori sapevano
delle sue fughe nei campi accompagnato da Bear, ma il fatto di non essere
ritornato a casa per il pranzo, sarebbe stato sicuramente fonte di
preoccupazione, considerando inoltre che Bear era rimasto legato alla catena.
Jack accompagnò Ralph verso
quel buco nella rete da dove era passato, davanti a quell’enorme siepe
che nascondeva il giardino si strinsero la mano, poi Ralph strisciò al disotto,
tra i rami e le foglie secche, di nuovo tra quelle appiccicose ragnatele che
gli si incollarono sul volto e tra i capelli, infine, giunse aldilà, si alzò in
piedi e salutando corse verso la sua bicicletta.
“Ci vediamo” gridò forte.
“Si, ci vediamo”, rispose il suo amico attraverso la siepe.
Salì rapido sul sellino e cominciò a pedalare veloce
restando in piedi sui pedali, era così euforico, così felice, così sereno, si
sentiva appagato.
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martedì 5 luglio 2016
Il rock nell'anima....
Anni passati a rincorrere la musica, le note come visioni, il rock come rivelazione.
Sono ormai lontani gli anni in cui sentivi quella sensazione di eccitazione che ti faceva palpitare il cuore tanto che quasi sentivi il gusto dell'adrenalina in bocca.
Il mio primo concerto veramente importante, quello che ha segnato tutta la mia esistenza musicale e non, fu a Torino.
A vedere cosa vi chiederete voi? beh, diciamo che comprai un biglietto per fare un giro nel tunnel dell'amore.
Eravamo giovani e liberi, giovani e vergini, come una lavagna bianca, come un mare agitato in tempesta che voleva sbriciolare gli scogli e farsi largo contro le bianche barriere di Dover.
Eravamo innocenti, incoscienti, eravamo noi e il mondo era fuori.
Conservo gelosamente quel biglietto un po' logoro, mezzo strapazzato, con gli angoli strappati e i colori che piano a piano si sbiadiscono.
Lo conservo come conservo tutti i miei ricordi buttati lì, alla rinfusa, come cenci sgualciti sulla seggiola in camera da letto, uno sopra l'altro mischiati, confusi, a volte consumati.
Quando capita che in giornate come queste, quando torna a suonare in quello stadio, visto e rivisto, quando vedi le foto su FB, i post di chi da sempre ti ha accompagnato nella vita e condiviso esperienze come queste, ti senti amareggiato, deluso, ti senti sconfitto e vuoto dentro.
Mi mancano i concerti come questo, mi manca quell'adrenalina che sale, quella sana sensazione di vivere qualcosa di grande, quel pezzetto di puzzle che serve a riempire un vuoto o a completare un angolo nella tua mente fatto di pensieri e di sogni .
La vita spesso ti fa scherzi stupidi, a volte atroci, a volte beffardi e allora arrivi dopo anni di sacrifici di sogni infranti contro le vetrate di una porta, di delusioni e amarezza, allora arrivi a pensare che nella vita ci sono momenti che passano e non ritornano più.
Ti fermi a pensare e a ripensare, cominci a tirare di nuovo le somme, a maledire quei contratti a tempo determinato che ti hanno fottuto la vita, a inveire contro una società a cui hai dato tanto e che non ti restituisce poi molto, anzi ti porta via qualcosa senza pensarci su due volte.
In questi momenti in cui la rabbia ti prende, guardo quelle foto su FB degli amici che sono li e penso che forse sono esagerato a prendermela. I problemi sono altri, penserà qualcuno, beh ognuno ha i suoi, ma non è questo quello che conta, il vero problema è che mi hanno portato via un sogno un pezzo alla volta. La vita passa e scorre come un fiume, lasciando sulla riva pezzi di vita qua e là, scorre portandosi via i momenti, senza che possano ritornare, senza che tu possa fare nulla per arrestarlo. Questa è la rabbia che mi coglie.
Poi cerco di rivivere quell'esperienza da dentro e chiudo gli occhi e metto le mani sulle orecchie e la mia mente viaggia con i brividi sulla pelle mentre le luci della sera si abbassano sul palco e quella chitarra comincia a suonare.
Il mio pard di sempre è lì e so che lui sarà i miei occhi e le mie orecchie, come sempre, ed allora potrò dire che anche io c'ero, anche io ero li ad ascoltare quei suoni che ti fanno vibrare l'anima, sentendo il caldo che sale dal prato e le transenne che premono contro il mio stomaco, perché il rock è dentro l'anima anche se la mente e il corpo restano a guardare fuori dalla finestra in una calda notte d'estate.
giovedì 30 giugno 2016
..Una stretta di mano basta e avanza... ...continua...

Strinse gli occhi e cercò di abituarsi al buio, si alzò in
piedi spingendosi con le braccia, riusciva a stare in piedi senza problemi, il
sottotetto era abbastanza alto anche per un uomo già fatto.
“Chi sei? Cosa ci fai qui? Perchè mi segui?” Furono le domande
che come una mitraglia si scaricarono addosso a Ralph.
Ralph rispose senza remore, lui non stava seguendo nessuno,
si trovava li solo per scoprire quel giardino, per esplorare quella casa.
La voce dal buio della soffitta restò in silenzio, per un
po’, poi chiese quasi con un ordine perentorio e minaccioso a Ralph di
spostarsi alla luce.
Ralph si spostò lentamente verso un raggio di sole che
filtrava dal lucernaio, così denso e luminoso che quasi lo potevi toccare.
Socchiuse un poco gli occhi per il fastidio, mentre dal fondo la voce riecheggiò
squillando come una trombetta.
“…Tu sei quello della fermata dell’autobus!”, Ralph non
poteva crederci, “Certo che sono io” rispose.
Fu una di quelle incredibili e improbabili combinazioni del
destino, quasi che Ralph non riuscì a tenersi dal far scendere una lacrima di
gioia, tanta era l’emozione di essere riuscito nella sua impresa.
La voce si materializzo piano uscendo in dissolvenza dal
buio di quella soffitta polverosa, la maglietta a righe, i capelli scompigliati
con quel buffo taglio, quasi se li fosse tagliati da se, i capelli;
pantaloncini corti e ai piedi delle logore scarpe da ginnastica blu, di una
misura più grande del suo piede.
Quando si fece avanti, sotto la luce, i suoi occhi color
ghiaccio si illuminarono come cristalli, allungò la mano, sporca, impolverata e
si presentò, “Io sono Jack”, “…e…io sono Ralph”.
Quanto strano è il destino, quanto vale il gioco, la fortuna
e la caparbietà, quando conta l’essere sognatori in un mondo tanto grande.
In quel giorno, in quell’istante in cui Ralph attraversò la
strada e si sedette sulla panchina, tutto cambiò irrimediabilmente, per
entrambi, le loro vite non sarebbero state più le stesse perché ora che si
erano ritrovati in quella soffitta polverosa, tra vecchi mobili accatastati e
l’odore di vecchio, due giovani
ragazzini avevano appena fuso le loro esistenze.
Amicizia, nasce per gioco, nasce per caso, in un attimo ti
ritrovi come per una magica alchimia a condividere un istante e all’improvviso
tutto cambia, trovi la tua anima complementare che per tutta la vita ti sarà
legata, nel bene e nel male, vicino o lontano, tra litigi e abbracci tra
esperienze condivise e delusioni cocenti.
Non importa quanto male ci sarebbe stato al mondo, la
fusione fatta in quella soffitta, sarebbe durata per sempre, di questo entrambi
ne erano assolutamente consapevoli.
Era come qualcosa di scritto nell’anima, nella loro
esistenza, era scritto nel libro della vita che si sarebbero dovuti incontrare,
prima o poi.
“Siamo amici?” chiese Ralph, “Credo di si !”gli rispose
Jack.
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martedì 28 giugno 2016
Rumori in soffitta... ...continua....

Sentiva i battiti come se una mazza battesse sulla
grancassa, il cuore in gola, sbuffò forte e con un gran respiro si diete
coraggio.
Un passo avanti all'altro, quasi in punta di piedi, Ralph
salì i gradini lentamente, scrutando le scale che salivano fino al piano
superiore.
La mano scivolò sul corrimano impolverato lasciando il segno
al suo passaggio.
Una grossa finestra, sul pianerottolo a metà delle due rampe,
oscurata da vecchie persiane chiuse, illuminava a sprazzi i gradini di marmo
ingialliti e macchiati dal tempo. Arrivò al piano superiore trattenendo quasi il fiato per
tutta la salita.
Sentì i rumori, ancora, ma questa volta i passi e la corsa
sembravano più pesanti e veloci, quasi fosse un tentativo di fuga. Il lungo corridoio che separava le stanze era buio e oscuro,
anche stringendo gli occhi a fatica Ralph riusciva a vedere il fondo.
Le scure porte di legno delle stanze erano chiuse, si
avvicinò piano alla prima sulla sinistra, pose lentamente le mani sulla
maniglia, prese fiato e poi con una spinta secca, decisa spinse la porta fino a
farla sbattere contro il muro.
La stanza era vuota, dentro c’era un vecchio letto
arrugginito e un cumulo di pezzi di mobili rotti.
La stanza buia era appena illuminata dalla luce esterna che
filtrava appena tra le imposte e i rampicanti che si accalcavano contro le ante
di vetro.
Una porta interna conduceva ad un'altra stanza attigua,
Ralph vi si avvicinò rapido e con gran veemenza cercò di aprirla, invano.
Nuovamente i passi di corsa si fecero sentire, accompagnati
da un gran trambusto, come se qualcuno inciampando avesse fatto cadere il mondo
intero.
Ralph corse fuori dalla stanza gridando e minacciando, poi
fu nuovamente il silenzio.
La polvere galleggiava illuminata dai penetranti raggi del
sole della stanza a fianco, Ralph allungò la testa per cercare di spiare all’interno.
Vuota, solo la polvere, un vecchio tavolino ribaltato, i
raggi del sole che si facevano largo tra le fessure delle persiane e tutto
intorno i segni di impronte, confuse che irrazionalmente si dirigevano in ogni
dove.
Ralph arrivò in fondo al corridoio, non c’erano più stanze
da scoprire da quel lato della casa, c’era solo una vecchia scala a pioli in
legno ribaltata contro la parete.
Ralph alzò gli occhi al soffitto e vide una piccola botola
in legno che portava al sottotetto.
C’erano piccoli segni di strisciate sul muro, come se
qualcuno si fosse dato la spinta con i piedi per tirarsi su attraverso la
botola.
Ralph prese la scala e l’appoggiò al muro, era più bassa e
non arrivava alla botola, con cautela
cominciò a salire i pioli, ma appena superata la metà la scala cominciò a
scivolare un poco sulla destra.
Fermo, immobile, Ralph
aspettò a salire sugli ultimi pioli, quella scala era così instabile che di
sicuro qualcosa sarebbe andato storto.
Sbuffò per un istante e poi salì verso gli ultimi pioli,
tenne una mano appoggiata alla parete, e con l’altra si distese a spingere la
botola verso l’alto.
Lo sguardo di Ralph si posò sulla sua mano e notò suo
malgrado altre piccole grigie impronte di mani che segnavano il muro, ma non fece
in tempo a pensare ad altro che la scala cominciò a scivolare sotto i suoi
piedi.
Si diede una spinta, staccò la mano dal muro e si aggrappò
al bordo della botola che spinta dall’altra mano si aprì sbattendo sul
pavimento del sottotetto.
La scala scivolò rovinosamente per terra sbattendo
fragorosamente sul pavimento, Ralph si tirò su a forza di braccia aiutandosi
con la spinta dei piedi che pattinavano veloci sul muro.
Appoggiò i gomiti al pavimento e facendo leva si tirò su
attraverso la botola trascinando il petto e il ventre sul pavimento.
Si ritrovò seduto sul bordo della botola, con la maglia
sporca, le braccia e le mani annerite dalla polvere nera e densa.
“Adesso come facciamo a scendere, idiota!!” sentì giungere
una voce dal buio del sottotetto.
Ralph si girò di scatto, spaventato, non riusciva a vedere
niente in quegli angoli bui, la luce del
lucernaio illuminava solo a tratti quel grosso, alto e profondamente nero
sottotetto.
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lunedì 27 giugno 2016
Restare o fuggire ... continua...

Ralph era più che emozionato, era terribilmente felice di
essere li in quel momento, in quel posto, felice di aver intrapreso quella
strana e stupida impresa alla ricerca di chissà chi.
Ora non aveva più importanza, ora contava scoprire il più
possibile di quel posto, cercare di soddisfare la sua immane, ingorda avidità
di scoprire il mondo ed ingrassare i propri ricordi e le proprie emozioni.
Diede un ultimo sorso alla bibita, la buttò giù tutta di un
fiato, non aveva tempo di godersela come faceva di solito, aveva cose ben più
eccitanti e gratificanti del bere una cola intiepidita.
Si guardò attorno, appoggiò la bottiglietta vicino ad una
pietra squadrata, l’avrebbe ripresa al ritorno, il vuoto a rendere gli dava
diritto ad avere indietro ben 10 centesimi.
Gonfiò il petto e fece un profondo respiro, tanto profondo
che la testa gli cominciò girare un poco, come quella volta che a casa della
signora Carla aveva bevuto mezzo bicchierino di liquore all'arancia, si sentiva
la gazzosa nella testa e per qualche istante gli pareva che tutto il mondo
fosse li e non fosse li allo stesso tempo.
Passata l’euforia da ossigeno, Ralph scosse la testa e a
parte qualche primo incerto passo, si diresse sicuro verso la fila di alberi
che nascondevano, con le loro alte e gonfie chiome, la grande villa
abbandonata.
Robusti fusti di contorti di glicine si aggrovigliavano intorno
ai pilastri del porticato, arrancando con feroce voracità verso i poggioli
nella facciata laterale.
Grappoli di profumati fiori pendevano come lanterne ricolme
di nettare, adornavano i muri come enormi campanelli ronzanti per la moltitudine
di api e calabroni.
Framezzati al viola del glicine enormi campanule arancio
intenso di bignonia penzolavano come tanti piccoli fiati di un’enorme
orchestra.
Foglie e fiori secchi ricoprivano le infestanti erbe che
crescevano lungo il marciapiede solcato da mille crepe.
Attaccamani si aggrovigliavano alle erbacce in una continua
lotta per lo spazio e la sopraffazione delle piante vicine, in eterna lotta per
la vita come ogni estate, in un ciclo perpetuo e continuo per sopravvivere al
tempo.
La portulaca si creava spazio tra i piccoli infestanti fiori
azzurri di Veronica, che si abbracciavano alle campanelle bianche di
convolvolo, creando un groviglio di colori e un avviluppo contorto di
foglioline.
Incantevoli a vedersi ma così terribilmente forti e
ostinate, caparbie, insistenti, alla fine infestanti.
Quell’esplosione di piante e fiori lasciò Ralph a bocca
aperta, si fece strada tra le alte e secche erbe di loietto, pesarone e avena
selvatica, passandoci in mezzo le stringeva tra le dita sgranando i semi fino
alla cima che gli restavano tra le dita come un minuscolo mazzetto di fiori
secchi.
Lasciò cadere i semi man mano che camminava, le mani quasi
accarezzavano le cime degli alti steli d’erba, mentre con lo sguardo rivolto a
destra e a sinistra si sincerò che non ci fosse nessuno, che non ci fosse
nessun pericolo.
Arrivò sotto il buio porticato, i vetri delle finestre
infranti, le inferiate arrugginite perdevano scaglie di colore seccato dal
sole, dal vento, dal tempo.
C’era una grossa porta di legno a due ante, con due grossi
pomelli di ottone ossidato come maniglie, era accostata, chiusa, ma non
serrata.
Ralph si avvicinò alle finestre e con la mano cercò di fare
ombra per scrutare all’interno, il riflesso era forte, i raggi di luce del sole
che penetravano dalle altre finestre creavano un riverbero di chiari e scuri
che rendeva impossibile capire cosa ci fosse dentro.
Ralph si accostò alla porta, appoggiò le mani e cominciò a
spingere, la porta rigonfia strisciò sul pavimento ricalcando segni sul
pavimento che facevano pensare al fatto che forse non era il primo ad
addentrarsi in quel luogo.
Strizzò gli occhi e inarcò un poco le spalle, mentre la
porta vibrando stridette in un acuto grido graffiando le piastrelle.
Cauto, attento, Ralph allungò la testa all’interno, poi
tutto il corpo lo seguì come per spingerlo dentro.
C’era silenzio e rumori, c’erano suoni e odori, luce ed
ombra, la grande sale d’ingresso si estendeva a forma di cavallo attorno ad una
grande scala centrale che portava al piano superiore.
I pavimenti scuri, coperti dalla polvere e dallo sporco
erano praticamente incolori, un grigio scuro uniforme, qua e la coperto di
foglie secche e segni di macchie di umidità e infiltrazioni.
Rantolava quell’enorme casa, respirava a fatica, chiusa,
stretta tra le morse e le spire di edere rampicanti e piante, soffocata, spenta
dalla mancanza della luce del sole.
Quella casa che sicuramente aveva visto tempi migliori stava
morendo sotto il suo stesso peso, sotto il peso dell’esistenza.
Meravigliato, angosciato, spaventato e oltremodo eccitato,
Ralph non stava più nella pelle, desideroso e allo stesso tempo impaurito voleva
scoprire tutto di quel mondo.
L’immaginazione fervida di Ralph lo faceva spesso correre attraverso
il tempo e lo spazio e davanti agli occhi tutto si animava, i colori riprendevano
vita, i mobili rotti si ergevano dalla polvere, le pareti si inondavano di
luce, le finestre si adornavano di delicate tende ricamate che dondolando nella
brezza del mattino, spargevano il delicato profumo della lavanda in fiore nelle
aiole.
Il lucido pavimento brillava riflettendo il grande
lampadario di cristallo che scomponeva i raggi di luce in migliaia di colori.
Le voci e i suoni percorrevano i corridoi, le risate di
gioia provenienti dal giardino salivano rapidamente i gradini della scala come
i tasti suonati veloce di un pianoforte a coda.
Un rumore di passi in corsa interruppe il sogno ad occhi
aperti di Ralph, come una puntina che scivola rovinosamente tra i solchi di un trentatré
giri.
Il cuore cominciò a battere velocemente, l’adrenalina gli fece
rizzare i peli del braccio e dilatare le pupille, facendogli scorgere anche gli
oggetti in ombra agli angoli della stanza.
Qualcuno o qualcosa aveva fatto rumore al piano di sopra,
Ralph di questo ne era sicuro, restava solo il fatto che avrebbe dovuto
decidere se scappare o restare.
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giovedì 23 giugno 2016
Il giardino oltre la siepe... continua...

La bottiglietta di cola fresca tra le mani, la bici
appoggiata al muro, il sole che si ergeva rapido rimpicciolendo le ombre degli
uomini e delle cose.
Attraversò la strada spingendo la bicicletta con un mano,
mentre con l’altra teneva stretta la bottiglia, quando giunse dall’altra parte,
appoggiò la bicicletta contro la recinzione che separava il marciapiede dal
giardino incolto di un vecchio edificio abbandonato.
Si sedette sulla panchina ad aspettare, la cola intonsa, non
aveva il coraggio di berne nemmeno un sorso, per evitare che l’interruzione di
quel rito scaramantico potesse portargli solo una cocente delusione.
Aspettò per una buona mezzora, ma del ragazzino nessuna
traccia, Ralph pensò che quel suo strano tentativo di ritrovarlo, quella sua
ricerca personale della felicità fosse stato un tentativo stupido, tutto
sommato.
Si alzò dalla panchina e diede un sorso alla cola che si
stava intiepidendo, stretta tra le dita.
Si girò intorno, ormai il pensiero del fallimento lasciò il
posto alla curiosità di rendersi conto di come fosse strana la città intorno a
lui.
In effetti non si era mai accorto di quel giardino
abbandonato, circondato da quella recinzione parzialmente abbattuta, con grossi
buchi nella rete deformata da sterpi e rovi che crescevano indisturbati.
Ogni giorno uscendo da scuola si fermava ad aspettare il
torpedone, ma la frenesia e la voglia di tornare a casa velocemente lo
rendevano spesso distratto al mondo che gli stava intorno.
Ralph era un ragazzino tutto particolare, il suo mondo era
diverso da quello degli altri, pensava sempre che il suo modo di vivere e di vedere
le cose fosse indissolubilmente legato
al fatto che lui si sentiva un prescelto, un uomo che nella vita avrebbe fatto
grandi cose, avrebbe cambiato il mondo, inventato una lampadina a lunga durata,
una macchina volante o trovato la ricetta per la eterna felicità.
Ralph era convinto di tutto questo, perché lui si sentiva assolutamente
diverso, ma la consapevolezza di essere unico, lo faceva sentire terribilmente
solo.
Si alzò dalla panchina e a passo lento, incuriosito,
cominciò a camminare lungo la recinzione, fino a trovare un buco nella rete
abbastanza grande per permettergli di entrare in quel selvatico e misterioso
luogo abbandonato.
C’erano tra le sterpaglie e i rovi di more dei rami spezzati
e un sentiero appena accennato, come se lui non fosse il primo ad attraversare
quella porta.
Fece qualche passo, poi si voltò indietro, ritornò sui suoi
passi, appoggiò la bottiglietta sul basso muretto in cemento che reggeva la
recinzione e andò a riprendere la bicicletta.
La appoggiò vicino al buco di entrata, in modo che potesse
essere in qualche modo più visibile al suo sguardo, poi prese la cola, diete
una lunga sorsata e lentamente cominciò a percorrere quel sentiero appena
accennato.
Una grossa siepe di lauro gli oscurava la visuale sul resto
del giardino, i grossi rami che partivano dal basso gli permisero di accovacciarsi
e strisciare sotto la siepe, strisciando su
un tappeto di foglie secche.
Come aveva visto nei film di guerra, fece il passo del
giaguaro e un gomito dopo l’altro, si ritrovò aldilà di quel muro verde.
Si alzò sulle ginocchia, spolverandosi la maglietta, volse
lo sguardo indietro, provò a chinarsi un po’ per guardare al di sotto della
siepe cercando di riuscire a posare lo sguardo sulla bici, ma non riusciva a
vederla.
Ebbe un attimo di esitazione, sospirò, con il pensiero che
lasciare la bici incustodita sarebbe stato di sicuro un rischio, ma che ne sarebbe valsa la pena, forse non avrebbe
più avuto l’occasione di intrufolarsi in quel piccolo strano regno abbandonato.
Fece spallucce e si alzò in piedi, diritto, spalle aperte,
si pulì con le mani la maglietta, passò le dita tra i capelli per scrollarsi di
dosso rimasugli di foglie secche e ragnatele raccolte mentre strisciava sotto
la siepe e spalancò gli occhi.
Meraviglioso, enorme, il giardino si estendeva in un parco
che pareva più un bosco a causa del’abbandono, ma i suoni della città in quel
mondo si affievolivano e si trasformavano in una magia tutta particolare.
Tra le fronde dei grossi tigli che crescevano poco distante,
si disegnava una casa, ne scorgeva l’alto tetto rosso.
Ralph ebbe un sussulto, si sentì pervaso da un brivido di
eccitazione, i peli delle braccia si fecero quasi diritti e le farfalle nello
stomaco cominciarono a svolazzare. Come una lavagna bianca, vergine, tutto ciò che suoi occhi
vedevano per la prima volta, lo
trascrivevano nella sua memoria marcando a fuoco le sue emozioni.
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martedì 21 giugno 2016
Steccalecca...e una cola ghiacciata ...continua...

Ralph era educato, riservato, al
limite della timidezza, prese il gelato ringraziando il barista e fece due
passi verso l’uscita, poi si fermò, si girò verso l’uomo dietro al bancone e gli
chiese la strada più breve per raggiungere la scuola.
L’uomo fu gentile, anche se un po’
sorpreso per la curiosa domanda, evidentemente lo aveva preso per un ragazzino
di città e questo riempì Ralph di orgoglio; gli diede delle indicazioni
precise, la scuola non era poi così lontana, dopo il tortuoso tragitto quella
per Ralph pareva una vera passeggiata.
Ringraziò nuovamente il barista,
uscì sul marciapiede e si sedette al tavolo.
Scartò il gelato, bianco,
brillante, usò la carta per tenere in mano il nero stecco di liquirizia per evitare
di sporcarsi le mani, sarebbe stata un’accortezza inutile, tanto sapeva che si
sarebbe sporcato comunque, ma tanto valeva provarci.
Non si fermò a gustare l’intero gelato seduto, non ce la
faceva, la voglia di arrivare davanti
alla scuola il prima possibile era irresistibile, decise di spingere la bici e
mangiare il gelato camminando, avrebbe recuperato un po’ di tempo.
Camminava sul marciapiede, la
bici tenuta per il manubrio, il gelato benché non facesse ancora caldissimo si
sciolse velocemente, le gocce appiccicose di zucchero e limone gli si
addensarono sulle dita, tanto da rendere inutile il pezzo di carta attorno allo
stecco, anzi peggiorava la situazione.
Fece
una pallina di carta appiccicosa e appena incrociò il primo cesto di immondizia
la buttò via.
Si mise a succhiare voracemente il duro stecco
freddo di liquirizia, era così buona e fresca, era felice Ralph, deliziato da quel gelato e
dalla sua giornata che aveva preso, dopo le prime difficoltà incontrate, una
piega decisamente positiva.
Decise di saltare in sella alla
bici, lo stecco in bocca, come un gangster con il sigaro penzolante dalle
labbra, si sentiva un duro dei sobborghi, pedalava schiena diritta, lo zainetto
sulle spalle e quel sorriso sul volto che diventava nero come l’inchiostro man
mano che lo stecco si consumava tra i denti.
Niente più dolore, nessuna
preoccupazione, Ralph era la felicità fatta persona, sentiva che quel momento
sarebbe rimasto un ricordo vivo ed indelebile tra i molti che avrebbe avuto nei
giorni a venire.
Seguì alla lettera le indicazioni
del barista e in poco tempo fu davanti alla scuola, la sensazione strana di
vedere tutte le porte e le finestre chiuse, vista da fuori, in quei giorni di
vacanza, aveva un alone di tristezza, sembrava solo un edificio vecchio e
abbandonato.
Si fermò per qualche istante
davanti al cancello chiuso del cortile di ingresso, non scese dalla bici, restò
in sella, tenendosi in equilibrio con la mano aggrappata alle sbarre.
Si guardò intorno, il sole caldo
cominciava a dargli fastidio, pose lo sguardo aldilà del marciapiede, verso il
fondo della strada, dove era la fermata del torpedone.
Lasciò andare il cancello e
cominciò a pedalare alzandosi in piedi, scese il marciapiede e attraversò la
strada, raggiunse la fermata, la panchina al sole era vuota e desolata, abbandonata
in un’attesa lunga quanto l’estate stessa.
Ralph fece tre giri intorno alla
panchina, poi riattraversò la strada e
si portò davanti al piccolo bar dove quell'ultimo giorno di scuola aveva preso
la cola fresca.
Decise di ripetere in modo quasi
rituale, scaramantico e propiziatorio, le stesse cose che fece quel giorno.
Appoggiò la bicicletta al muro,
entrò nel bar e chiese una bottiglietta di cola, si faceva sempre i conti in
tasca Ralph, i soldi di certo non gli crescevano in tasca e non erano molti
quelli che riusciva a mettere da parte, ma quella cola per lui era troppo importante,
perché dentro di se sapeva che quello sarebbe stato sacrificio per fargli
incontrare nuovamente quello strano minuto ragazzino.
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venerdì 17 giugno 2016
...stecco alla liquirizia, grazie.... ...continua...

Le casette si susseguivano come
un avamposto della civilizzazione, piccoli giardini piantumati ricchi di fiori
e piante, era questo un bel biglietto da visita per chi entrava in città passando
dalle campagne.
Ralph rallentò incrociando il
passaggio a livello, le sbarre a strisce bianche e rosse erano alzate, l’omino
nella guardiola non lo notò nemmeno mentre lentamente passava sopra i binari.
Si fermò per qualche istante
proprio nel mezzo, guardò a destra e a sinistra, i lunghi binari luccicavano
alla luce del sole, quasi in sego di sfida, sprezzante del pericolo, proprio
come un cavaliere a cavallo di un nero destriero, Ralph fece spallucce e si
rimise a pedalare lungo la strada che portava verso il centro abitato.
Non era molto pratico della
città, del resto in città ci andava a scuola la mattina e qualche volta la
domenica accompagnando suo padre a comprare le paste o a fare la spesa nell'unico grosso
supermercato allora presente in centro, vicino alla stazione ferroviaria.
No, Ralph non era ometto da
città, lui era pratico delle campagne, del suo regno attorno alla casa di
campagna dove era nato.
Si sentiva come un pesce fuor
d’acqua, avrebbe voluto essere un ragazzo di città, girare per i vicoli,
arrampicarsi sui muri tra i cortili, salire sui tetti delle case, far parte di quei racconti che i compagni di
scuola gli narravano ogni giorno.
Ralph non era un ragazzo di città
e lo sapeva bene, ma questa avventura avrebbe potuto raccontarla ai suoi
compagni una volta tornato a scuola dopo le vacanze estive.
La strada si trasformò in via,
senza che Ralph nemmeno se ne accorgesse, si ritrovò dentro la città come per
incanto, come attraverso uno specchio.
Il mondo che gli si presentava
davanti era così diverso, i rumori, i suoni, gli odori, i profumi,
tutto era così nuovo, la città vista la mattina presto era, per Ralph, una scoperta nuova, un cosmo di nuovi stimoli
e attrazioni, tutto attirava la sua attenzione, la gente, le auto, i negozi, la
vita stessa della città era un continuo esaltante bombardamento di nuove
sensazioni.
Pedalava lentamente, stando
attento alle macchine, procedeva a bordo via, distratto dalle persone che
camminavano sui marciapiedi, dai bambini che correvano attraversando veloci la
strada per scomparire nei cortili interni tra un palazzo e l’altro.
Non riusciva a trovare nessun punto di riferimento
conosciuto, girare a vuoto lo rendeva
particolarmente nervoso e preoccupato, l’orologio correva veloce anche se il
tempo sembra scorrere così lentamente tra le luci e le ombre della città.
Ralph prese la decisione di
fermarsi, salì con la bici sul marciapiede, si diresse verso l’insegna di un
bar, i piccoli tavolini rotondi, colorati di rosso erano circondati da
variopinte sedie in plastica colorata,
gialle, azzurre, rosse, verdi.
La seduta ricordava quella di
sedie impagliate, ma erano fatte con morbidi, spessi fili di in plastica,
attorcigliati a cromati tubi di ferro.
Appoggiò la bicicletta al muro e
come un viaggiatore esperto, come un cliente abituale si sedette su una di
quelle colorate sedie, appoggiò lo zainetto sulla sedia di fronte e attese che
qualcuno venisse a prendere un’ordinazione.
Sembrava un piccolo ometto,
serio, attento, per nulla imbarazzato e per nulla teso, almeno all'apparenza.
Aspettò un po’, poi si alzò dalla
sedia e si diresse verso un’insegna in alluminio, sul marciapiede, vicino alla
vetrata del bar, c’erano le foto di gelati di ogni tipo, coni rotondi con
pralinato alle nocciole, coni classici al gusto crema e cioccolato, coppe
ricche di gusti, alla frutta, al caffè, ghiaccioli multicolori e persino un
gelato con lo stecco in liquirizia che potevi mangiare.
Sull'altro lato dell’insegna
c’erano le foto di torte gelato e grossi barattoli uso famiglia, l’imbarazzo
della scelta era tanto, c’erano fin troppi gelati da poter scegliere.
Ralph controllò i prezzi, perché
indipendentemente dal gusto quello che veramente contava era se lui se lo
poteva permettere, senza intaccare troppo i soldi risparmiati con tanta
parsimonia.
Sentì bussare contro il vetro, il
barista fece un cenno con la mano, come per chiamarlo all'interno del locale,
Ralph si scostò indietro, lasciò passare qualche istante poi mise piede dentro
il bar.
Il bancone era così alto che
Ralph non riusciva quasi ad appoggiarci le mani sopra, prese di tasca un paio
di monete e chiese al barista il gelato con lo stecco alla liquirizia.
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giovedì 16 giugno 2016
lance in resta... ..continua...

Pedalare tra i campi di grano era come passare tra migliaia
di soldati in parata, un’armata d’oro con lance in resta, tutti a rendere
omaggio al cavaliere solitario che si apprestava a portare avanti un’impresa degna
di un re.
Ralph era così euforico e orgoglioso di se, come ancora non
lo era stato nella sua breve vita.
Pedalava a testa alta, schiena diritta, ogni tanto accennava
un saluto a quell’immaginario esercito, ora a destra ora a sinistra, con il
capo cenni di approvazione e gratitudine, era una parata con Ralph in alta
uniforme, le ferite in mostra,
indicandole con le mani, con soddisfazione e ad ogni cicatrice mostrata
si alzavano i cori e si piegavano i capi, sospinti da una leggera brezza,
mentre le rondini si alzavano volando radenti a sfiorare le punte delle lame.
Un fischio lontano, il fischio di un treno, riportò Ralph
sulla strada, si alzò in piedi pedalando, si erse al di sopra delle spighe del
grano e vide dove i campi coltivati finivano e la radura lasciava lo spazio a
campi di fieno tagliati.
In lontananza file di alberi segnavano i confini dei campi e
nascondevano la vista alla città, non molto lontana, aldilà del fiume.
Seguì il fischio del treno e il rumore metallico che si
allontanava in una cadenza ritmata, quasi fossero tamburi di nobili indiani.
Li dove terminavano i campi d’orati, lo sterrato incrociava un’altra vicinale che
perpendicolarmente tagliava la lunga radura in due parti, il fondo era coperto
di fine ghiaino cotto dal sole e coperto da una patina di bianca polvere .
Ralph si diresse a sinistra dell’incrocio, si portò
nuovamente verso il fiume alla ricerca di un passaggio per poterlo
attraversare.
Man mano che la strada proseguiva si innalzava leggermente,
poco alla volta, fino a che Ralph notò di stare pedalando al di sopra dei
campi, la stradina rialzata leggermente in salita si interrompeva al bordo di
un ponte in cemento, non molto largo,
giusto lo spazio per il passaggio di un trattore.
Il fondo del ponte era asfaltato, le ruote impolverate
lasciarono subito marcate impronte
bianche sul fondo, sempre meno evidenti man mano che Ralph avanzava.
A metà del ponte si fermò, si appoggiò con i piedi al
parapetto in ferro e con la mano si tenne in equilibrio, senza scendere dalla
bici,
Il fiume al disotto, nel suo letto scorreva lento, l’acqua scura rifletteva i raggi del
sole e il blu del cielo che si frammezzava tra le fronde delle piante che
crescevano sulle due rive opposte.
Grigi aironi spiccavano brevi e gentili voli spiegando le
loro larghe ali, planavano come aquiloni sopra il pelo dell’acqua, per poi
concedersi qualche passetto di danza ritrovando il solido terreno.
Era veramente un mondo tutto da scoprire, Ralph avrebbe
voluto avere dietro una macchina fotografica per fissare tutta quella bellezza,
ma non ne aveva una e si accontentò di lasciare che tutto si impressionasse a
fuoco nella sua mente., con la sola spiacevole conseguenza che nessun altro,
oltre a lui, ne avrebbe potuto godere.
Si lasciò il ponte alle spalle, la strada proseguiva
asfaltata, stretta, una piccola strada asfaltata di campagna, sulle rive
crescevano robinie alte e sottili, cariche di foglioline ovali che ondeggiavano
come migliaia di campanelli mossi dal vento.
Ci aveva messo più tempo del previsto ad arrivare fino a li,
ma quella stradina secondaria lo avrebbe portato in città senza incappare in
ulteriori ritardi e senza rischiare di essere costantemente investito da
qualche autista con il piede troppo pesante.
I pali del telefono che correvano paralleli alla strada
segnalavano la fine delle campagne e l’inizio della periferia della città, Ralph
si fermò all’ombra sul bordo della carreggiata, estrasse la borraccia dallo
zaino e diede una bella sorsata d’acqua, poi si rimise a pedalare, deciso,
fermo, l’intenzione era quella di arrivare il prima possibile in città.
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martedì 14 giugno 2016
... continua ... lavarsi l'anima ...

... continua ...
Ralph percorse quel piccolo sentiero stretto, appena segnato, scese dalla bici e cominciò a spingerla, facendosi largo tra le fronde di salici rossi che crescevano diritti e fitti segnando il limite della selva e l’inizio del letto del fiume.
Le pietre sul sentiero sempre più
numerose, sempre più grosse rendevano difficoltoso spingere la bici seguendo un
percorso diritto.
Ralph superò le ultime fronde e
si trovò di fronte al fiume, largo, lento, l’acqua scura e intensa, il silenzio
era l’unico suono che si udiva in quell’angolo di mondo che era ciò che più si
avvicinava alla sua idea di paradiso.
Lasciò cadere la bici per terra,
si tolse lo zaino dalle spalle e lo appoggiò sopra i raggi della ruota,
saltellando tra una bianca pietra e un’altra si avvicinò all’acqua.
Ralph seguì con lo sguardo il
letto da monte a valle, scrutando la riva opposta, in quel punto il fiume si
allargava di molto, formando una specie di lago naturale.
Più a valle avrebbe dovuto
attraversare e la sua speranza era che ci fosse un ponte o una diga su cui
passare sopra.
Si tolse le scarpe e le corte
calze di cotone aggredite dai semi di bardana e nappola che cresceva rigogliosa in quell’ambiente
caldo e umido, appoggiò la maglietta sporca di macchie di terra ed erba sul
sellino della bici e lentamente entrò nell’acqua.
Un brivido salì lungo la schiena
di Ralph, l’acqua era ancora fredda, camminò fino ad arrivare a farsi coprire
le ginocchia, il limo sul fondo si alzò come una nuvola di latte dentro una
calda tazza di tè, ad ogni suo passo.
Ralph si sciacquò le mani, le
spalle, la faccia, più restava immerso nell’acqua e più diventava piacevole.
Passò delicatamente le mani sopra
i garretti, massaggiandosi i graffi e le escoriazioni, quella sensazione di
bruciore e dolore quasi piacevole gli facevano venire la pelle d’oca.
Restò fermo, lasciando che la
debole corrente che scorreva vicino alla riva portasse via il fango sospeso, l’acqua
trasparente, i piedi semi coperti dal lieve strato di limo del fondo venivano bersagliati
dai delicati morsi dei minuscoli barbi e
cavedani, incuranti del pericolo, indifferenti alla presenza di Ralph.
Un lieve movimento e l’acqua
tornava ad intorpidirsi, Ralph fece ancora qualche passo in avanti, l’acqua gli
bagnava quasi i calzoncini corti, era così bello restare in mezzo al fiume
immerso in quel silenzio così naturale.
Al centro di quello slargo, così
simile ad un lago, piccoli anelli di acqua si formavano ogni vola che i pesci
più grandi si nutrivano degli insetti sul pelo dell’acqua.
La natura, il cinguettio continuo
di decine di uccelli tra le fronde degli alberi che si addossavano alle due
rive, il riflesso del sole che si frastagliava tra le onde, il volo radente
delle iridescenti libellule, tutto era pace e bellezza, un tempo infinito, un
istante lungo come il fiume.
Ralph fu quasi dispiaciuto di non
potersi fermare a fare un bel tuffo, ma la giornata era lunga e i suo obiettivo
era decisamente un altro.
Tornò a riva salendo sulle pietre
intiepidite dal sole per non sporcarsi i piedi di limaccio, si asciugò i piedi
alla bell’e meglio, si rinfilò i calzini pulendoli dai fastidiosi semi che ci
si erano aggrappati, infilò le scarpe e dopo averla scrollata indossò la
maglietta.
Riprese a percorrere a ritroso il
sentiero fatto, lo zainetto sulle spalle gli dava fastidio alla spalla sgarrupata,
i graffi sulle gambe e le punture di ortica ricominciarono a dargli fastidio,
le sonnolenti zanzare del sottobosco
cominciarono a sentire l’odore di quel lauto banchetto e fu così che Ralph
cominciò a passo svelto a spingere la bici verso la stradina principale.
Appena gli fu possibile, salì in
sella e cominciò a pedalare come un indemoniato.
Veloce percorreva quella stradina
che lentamente si allontanava dalla riva del fiume, gli alberi si facevano
sempre più radi, file di pioppi neri delimitavano il margine del bosco con una
matematica precisione, fino a terminare la loro corsa ai limiti di un prato coltivato.
La luce imperava sulla radura, il
grano maturo rifletteva di giallo oro i raggi del sole abbagliando la vista di
Ralph .
La stradina umida e scura lasciò
il posto a una strada sterrata, asciutta e polverosa, rosso ocra, al cui centro
crescevano rigogliose le erbe di campo.
Gli ultimi Papaveri rosso fuoco e
il profumo in fiore della camomilla adornavano i bordi del campo di grano ai
lati della strada.
Il vento sulla pelle e la polvere
che si attaccava alle umide gambe, Ralph cominciò a gridare a squarcia gola,
poi il grido si trasformò in un canto, il ritmo delle pedalate diminuì e il
canto si trasformò in un fischiettio lieto e tranquillo, il sole alto scaldava
le spalle, il dolore al polso era sparito, Ralph era felice e la città era
sempre più vicina.
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lunedì 13 giugno 2016
V.d.P. ..preti... ruote e spine .... continua....

...Continua...
Il chiaro scuro, generato dai raggi del sole che filtrava attraverso le fronde, l’aria fresca che saliva dal fondo del bosco, i profumi inebrianti della natura e dell’estate che avanzava imperiosa un giorno dopo l’altro, questo era per Ralph il gusto di vivere.
Sentiva dentro di se la piacevolezza, la semplicità di esistere e di godere a pieno di ogni istante, tutto questo era per Ralph la consapevolezza dell’esistenza di un mondo ancora tutto da vivere e da scoprire.
La vita gli avrebbe insegnato suo malgrado che c’era molto di più al di sotto di quella sottile crosta di innocenza, ma non era questo il momento, non era ancora il tempo di riempirsi di cicatrici, di rimpianti, di delusioni e voglia di riscatto, questo era semplicemente il momento di vivere la vita e di questo Ralph in un modo o nell’altro ne era consapevole, talmente consapevole che non voleva nemmeno pensare al futuro, il presente era più che sufficiente e aveva tutto ciò che gli occorreva, in quel preciso istante.
I chilometri che lo separavano dalla città erano una decina, poca roba per un autobus di linea, ma un viaggio vero e proprio se percorso sulla sella di una vecchia bici attraversando le campagne.
La strada sterrata proseguiva fiancheggiando il bosco, correva quasi parallela al fiume, l’odore dell’umido della riva saliva forte, mischiandosi a quello pungente delle fronde del sambuco, creando un mix difficilmente confondibile e assolutamente indimenticabile.
Uno di quegli odori che si impressionarono nella memoria di Ralph, alla stregua di un’impronta genetica dell’anima, dello spirito, un odore talmente caratteristico da identificare l’estate come un’entità precisa.
Pedalava Ralph, tra i profumi dei fiori di rosa canina, tra l’umido delle ortiche e i preti che volavano attraversando la stradina, Ralph ricordava che il nonno gli avesse detto portassero sfortuna, non che la cosa lo preoccupasse, ma sapeva che in un modo o nell’altro le vecchie tradizioni avevano un fondo di verità e nel dubbio sarebbe stato meglio evitare di investirne uno. Cominciò così un balletto strano, Ralph cercava continuamente di scansare quelle nere falene diurne, dalle tipiche ali a pois, facendo continuamente lo slalom da una parte all’altra, stancandosi probabilmente più del dovuto, fino a non riuscire più tenere la bici con energica fermezza.
Le gomme strette, umide e sporche del limo appiccicoso, finirono per non fare più molta presa sul terreno e all’ennesima brusca sterzata, la ruota scivolò di traverso, le mani abbandonarono il manubrio, i piedi scivolarono giù dai pedali nel vano tentativo di restare in piedi, ma fu tutto così rapido e inaspettato.
Il manubrio si piegò seguendo la ruota, il telaio si piantò per terra e Ralph fu letteralmente catapultato in avanti, come un sacco di patate lanciato sul vano di un furgoncino.
Non si rese nemmeno conto di quanto stesse accadendo, tanto fu rapido il momento.
Si ritrovò a rotolare tra le ortiche, con la bicicletta che ribalzando gli passò poco di fianco, per finire ad incastrarsi tra i giovani fusti di robinia e un filare di pioppi neri.
Ralph si alzò dolorante al polso, le ginocchia sbucciate e un livido sulla coscia, sentiva un forte bruciore alla spalla, si sollevò la maglietta e con la mano andò a tastare la zona dolorante.
Sentì caldo e umido e capì subito che di li a qualche giorno avrebbe avuto una bella crosta da grattare.
Il sudore improvviso comparì su tutta la pelle, come per magia o per maledizione, visto che ora era sporco, sudato, graffiato e con braccia e gambe piene di bolle da ortiche.
Sollevò la bicicletta tirandola con forza per districarla dai rovi che si erano attorcigliati attorno ai raggi e ai pedali, alzandola in piedi la fece rimbalzare sulle ruote, vibrò tutta in un rumore metallico.
La situazione era assai complicata, la difficoltà a camminare tra quei rovi, il manubrio storto, il dolore al polso, il prurito alle gambe e quel dannato sudore che si appiccicava allo sporco rendevano ogni sforzo di uscire dalla riva immensamente pesante.
Ad ogni passo i fili di rampicanti irti di minuscole spine ad uncino graffiavano i garretti delle esili gambe di Ralph, andando ad infierire ulteriormente su un corpo piuttosto provato.
Ad ogni passo si graffiava e più cercava di districarsi più continuava inesorabilmente a graffiarsi. Le smorfie di acuto dolore gli facevano stringere i denti e strizzare gli occhi.
Quando infine si ritrovò al centro della piccola carreggiata, tirò un sospiro di sollievo, era sudato e affannato, le gambe gli bruciavano, irritate dalle ortiche e graffiate da quelle minuscole insidiosissime spine.
Prese la borraccia e decise di usare un poco di acqua per sciacquarsi la faccia, poi imbracciò il manubrio e incrociò le gambe sulla ruota anteriore.
Gambe strette e un colpetto al manubrio, uno a destra, uno a sinistra, ancora un altro a destra, ora la ruota era a posto e il manubrio diritto, raddrizzò delicatamente ma con forza la lampada anteriore, tolse le sterpaglie e le foglie che si erano incastrate nel carter, sali sulla sella e ricominciò a pedalare pensando che aveva capito il perché della nomea che i “preti” si erano fatti come farfalle porta sfortuna.
La bicicletta aveva la priorità, niente bici niente viaggio, pensò Ralph.
Salì nuovamente sulla sella e cominciò lentamente a pedalare, infischiandosene dei preti che gli svolazzavano intorno e cercando di far finta di non sentire quel dolore al polso che gli faceva stringere a fatica la manopola del manubrio.
Percorse qualche centinaio di metri, poi imboccò un piccolo sentiero in discesa che andava in direzione del fiume, aveva bisogno di darsi una sistemata, altrimenti l’alternativa era quella di tornare a casa, perché in quelle condizioni diventava complicato continuare.
Ralph non capiva se era più fastidioso il dolore dei colpi o il bruciore del sudore che colava sui minuscoli graffi e sbreghi che aveva sulle mani, sulle braccia e sulle gambe.
Si sentiva un guerriero, un selvaggio, un esploratore, un eroe, si sentiva tante cose ma più di ogni altra cosa si sentiva un sopravvissuto e in quel momento era la cosa che più lo riempiva di orgoglio
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giovedì 9 giugno 2016
V.d.P. ... continua... il viaggio

... Continua...
I freni fischiarono mentre le gomme lasciavano un solco sulla ghiaia, Ralph arrivò al bordo della statale, le macchine seppur rade sfrecciavano a velocità impossibile, i grossi camion spostavano la pesante massa di aria calda tra il rumore dei motori e il cigolio dei rimorchi che sobbalzavano sull'asfalto imperfetto.
Doveva percorrere la statale per
un piccolo breve pezzetto, ma a Ralph, su quella grossa e vecchia bicicletta,
pareva un’ impresa assai ardua.
Aspettò, attese il momento
migliore, guardò dal lato sinistro, si diede una spinta col piede, poi si alzò
sui pedali e cominciò a spingere con tutta la forza che aveva nelle gambe.
Il leggero dislivello tra la
stradina, la ghiaia, la bicicletta così grande, sembrava davvero un’impresa
partire da fermo.
Ci riuscì, spingendo, faticando,
ma prese velocità e continuando a guardare a sinistra non vide arrivare
quell'enorme autotreno.
Ralph sentì quel prepotente suono
del clacson che squillò come le mille trombe alle porte di Jerico, le mani si
strinsero sulle leve dei freni, la bici scartò a sinistra sgommando sulla
strada, si fermò di colpo, di traverso sulla linea di mezzeria, bianca,
tratteggiata.
L’autotreno passò come fosse una
locomotiva sui binari, l’imponente massa di aria spostata fece sbilanciare
Ralph sulla bici, con il braccio si coprì gli occhi per evitare la polvere e la
sabbia sollevata così prepotentemente.
Il suono delle trombe gli fece
salire il cuore in gola, rimase col fiato sospeso mentre quell’immenso misterioso camion sbucato dal nulla gli sfrecciava davanti, l’autista non tentò
nemmeno di frenare, non accennò minimamente a sterzare, semplicemente proseguì
sulla sua traiettoria, probabilmente sperando nel fatto che quel ragazzo sulla
bici si fosse accorto di lui.
Al passaggio il rimorchio si tirò
dietro risucchiando prepotentemente la polvere dalla strada e la paura
dall’anima di Ralph, sparì lungo la strada, così come
era comparso.
Ralph pensò tra se che la prossima
volta sarebbe stato meglio guardare da entrambi i lati della strada, o
difficilmente sarebbe tornato a casa sano e salvo.
Certo come primo scrollone non fu
male, Ralph scese miseramente e irrimediabilmente con i piedi per terra, poche
distrazioni, l’euforia possono distrarti, fu il pensiero che gli passò tra un
fischio e uno sbuffo.
Piedi in terra, mani sul
manubrio, Ralph volse lo sguardo a destra e poi a sinistra, la strada era
libera, mise i piedi sui pedali e lentamente si portò a margine della
carreggiata.
Erano solo poche centinaia di
metri, ma il pericolo del traffico su quella statale era reale, ogni tre o
quattro pedalate si voltava indietro a controllare l’arrivo di qualche mezzo.
Si voltava e la bicicletta
dondolava ora a destra ora a sinistra, le gomme nere scricchiolavano sul
ghiaino sottile a bordo strada, rimasuglio dell’asfalto che si sbriciolava al passaggio dei mezzi e all'incedere delle
erbacce dai fossi.
Finalmente arrivò alla stradina
sterrata che si infilava nei campi, si fermo al sicuro, appoggiò la bicicletta
per terra e dallo zaino prese la borraccia piena d’acqua, ne bevve un bel sorso
e poi ancora un altro, servivano più per scacciare la paura che per placare la
sete.
La strada sterrata serpeggiava
tra campi coltivati fino a inoltrarsi in un verde boschetto, rigoglioso, verde,
ombreggiato.
Il sole che si innalzava sempre
più prepotente nel cielo faceva filtrare i sui raggi luminosi attraverso le
fronde degli alberi le cui cime dondolavano dolcemente cullate da una lieve
brezza mattutina.
Si sentì al sicuro a pedalare tra
quella natura così placida e tranquilla, i cui suoni erano come carezze per i
timpani e vibrazioni per lo spirito.
Si sentivano solo i cigolii dei
pedali , il fregare sulla terra delle nere ruote della bicicletta che si impolveravano
solcando la strada e il battito costante del cuore di Ralph che pedalava verso
la città.
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mercoledì 8 giugno 2016
V.d.P. .. continua... e cresce la curiosità...

...Continua....
Certo l’idea di andare in città non era poi così strana, del
resto ogni giorno durante l’apertura delle scuole era per lui andare in città, la normale quotidianità, ma l’idea di doverci andare a piedi o prendendo in
prestito la vecchia bicicletta del nonno, era un’idea che lo metteva in
agitazione e in apprensione.
La sera precedente il giorno prefissato fu particolarmente
agitato, si preparò lo zainetto che usava per i libri di scuola riempiendolo
con una maglietta di ricambio, un piccolo coltellino multiuso, inseparabile compagno
di ogni avventura, una matita con il blocchetto per gli appunti, una borraccia
d’acqua piena.
Prese la vecchia borraccia che suo nonno aveva usato durante
la guerra, era terrorizzato dal fatto che lo venisse a scoprire, non era uomo
da far passare indenni certe azioni, del resto chiedergliela sarebbe stato
inutile, la risposta ovviamente sarebbe stata un secco no.
Per quanto riguardava il pranzo, ci avrebbe pensato la
mattina presto, preparandosi un bel panino senza farsi troppo notare.
Preparò i pantaloncini e la maglietta ben piegati sulla
sedia della cameretta e prese qualche moneta dalla propria scorta, un piccolo
tesoro fatto di centesimi e monete, messi via piano, piano, dal resto della
paghetta settimanale che gli avanzava e dagli spiccioli che la mamma gli dava
per prendere il torpedone.
Ralph quella notte pensò al tragitto da fare, alle strade
che avrebbe dovuto percorrere per evitare la trafficata e pericolosa statale in
un giorno lavorativo, al momento in cui
uscendo di casa la mattina presto avrebbe dovuto trafugare la bicicletta dalla
stalla, al modo di evitare che Bear lo seguisse fino in città.
Già, Bear poteva essere un problema, quel pensiero non lo fece
dormire fino a notte fonda, fu allora che decise di scendere in cortile,
facendo attenzione a non fare troppo rumore scendendo le scale, per prendere
Bear per il guinzaglio, accompagnarlo fino in cuccia e legarlo alla catena.
Mestamente il cane mise la coda fra le gambe e piegò le
orecchie, Ralph non ne fu contento ma
guardandolo negli occhi cercò di far capire al suo fedele compagno che la
missione necessitava di un sacrificio da parte di tutti, quello di Bear era di
passare la notte e il giorno legato alla catena.
Tornò in camera triste, ma sereno e fiero di aver trovato la
soluzione a questo spiacevole inconveniente.
La finestra della camera di Ralph dava a sud, rivolta verso
i campi coltivati a foraggio, il profumo del fieno era inebriante, la luce
delle stelle affievolita da un piccolo quarto di luna rischiarava la fila di alberi che delimitavano
i campi più lontani, sul limitare del bosco.
Canti di grilli cullavano serenamente il suo sonno mentre i
cuculi cantavano alla notte serena,
preludio di buon auspicio al giorno che sarebbe arrivato di li a poco.
L’aria notturna rinfrescava un poco, i primi giorni dell’estate
spesso Ralph era costretto a chiudere le finestre, ma non quella notte, quella
fu una notte pervasa da un lieto tepore che rese il sonno di Ralph ancora più profondo.
La mattina ha l’oro in bocca e quella mattina il sole
sorgendo senza la benché minima nuvola all’orizzonte, riempì in breve tempo la
stanza di luce, dapprima una luce orange, poi lentamente giallo oro.
Ralph aprì gli occhi di colpo e il primo pensiero che balenò
nella sua mente fu di essere in ritardo, ma non lo era, anzi era talmente
presto che nemmeno il gallo aveva cominciato a cantare, forse troppo assonnato
dalla splendida notte precedente.
Ralph si vestì rapido e silenzioso, mise lo zaino su una spalla,
raccolse le monete da sopra il comodino e si chiuse molto lentamente la porta
dietro di se, facendo attenzione a non far scattare la maniglia.
Scese giù per le scale, l’eccitazione era palpabile nell’aria,
i raggi del sole a stento filtravano tra
le imposte semichiuse, disegnano angoli di luci ed ombre contro le pareti.
In cucina aprì il frigorifero, una sorsata di latte dalla
bottiglia, dal piatto sul terzo ripiano prese una fettina di carne panata con
cui imbottì due fette di pane bianco.
Prese dal cassetto un tovagliolo e lo avvolse delicatamente,
lo mise dentro lo zaino, poi uscì lentamente di casa.
Ralph si fermò sull’uscio, Bear era nella cuccia assonnato,
forse più del gallo, anche lui narcotizzato dalla lieta notte, si guardò
intorno e fece un bel respiro a pieni polmoni, era agitato, tanto che la testa
inebriata lo faceva quasi barcollare.
Si diresse a passo svelto verso la stalla, aprì il portone ,
il cigolio delle vecchie cerniere fece scantare l’assonnato Bear che alzò la
testa da dentro la cuccia, per sbirciare da dove venisse il rumore, fu
questione di un istante e si rimise a pisolare.
Ralph prese la bicicletta e la spinse rapidamente tra il rumoreggiare
delle gomme sul selciato e il tintinnare della catena fino alla stradina che
dal cortile portava sulla strada.
Qualche passo di corsa, poi con un balzo saltò sui pedali e
tra un rapido ondeggiare della bici cominciò a pedalare velocemente.
Si sentiva euforico, eccitato, a tal punto che avrebbe voluto
gridare, ma si trattenne per paura di essere scoperto, sarebbe tornato a casa
per l’ora di pranzo, senza che nessuno venisse a saperlo.
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Vortice di pensieri. Massimo Ginestri ©
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martedì 7 giugno 2016
Vortice di pensieri... il romanzo nasce sul blog... continua...

Le giornate trascorrevano come
una vela sospinta dal vento in un mare di dolce tranquillità, i primi giorni
dell’estate erano come un bimbo appena nato, vergini, vuoti, come un a lavagna
bianca su cui poter scrivere ogni cosa.
Ralph amava l’estate più di ogni
altra cosa, gli dava quel senso di libertà, senza costrizioni, era in quell’età
in cui ogni giorno era una scoperta; si sentiva come un cercatore d’oro, come
un esploratore in cerca di un tesoro, come un cavaliere alla ricerca del sacro
graal.
Ogni giorno Ralph si sentiva come
in preda ad un’euforia incomprensibile, indecifrabile, come se il suo desiderio
più grande , la sua massima aspirazione fosse assimilare la conoscenza delle
cose, imparare, apprendere, capire, scoprire il tutto.
Appena sveglio correva a fare
colazione, rapido, preciso, una tazza di latte freddo e quattro biscotti, che
la nonna preparava ogni domenica in quantità gargantuesche, il barattolo di
vetro sembrava una fonte infinita, lo trovava sempre pieno, ogni giorno, ma non
sarebbe stato sempre così, di li a pochi anni Ralph avrebbe scoperto la
mancanza di quei frollini fatti in casa, l’assenza del loro inebriante profumo
di nonna; l’ultimo biscotto avrebbe
segnato il primo punto a favore della vita e la consapevolezza che le cose
belle, non durano per sempre.
La campagna intorno alla città
era come un mondo a se, ricco, rigoglioso, come una sfera che inglobava ogni
desiderio, ma che finiva, limitato, circondato, dalle lunghe infinite rotaie in
ferro che portavano verso un universo sconosciuto e da quella lunga strada asfaltata
che lo separava dalla periferia della città.
Spesso Ralph arrivava ai limiti
del suo mondo e restava seduto ad aspettare che un lungo treno merci passasse
fischiando, veloce, pesante, su quelle rotaie color rosso acceso la cui sommità
lucida rifletteva i raggi del sole.
Lo vedeva correre tra il
frastuono del metallo e il sibilo del vento che spostava i rami degli alberi e
piegava le fronde degli arbusti che crescevano lungo i bordi coperti di bianche
pietre.
Si chiedeva da dove veniva e dove
era diretto, a volte fantasticava immaginando alla fine del punto di fuga, un
tunnel , una porta verso un’altra dimensione, attraverso la quale il treno
sarebbe passato, come attraverso uno specchio.
Altre volte si sedeva sotto un
grosso albero di noci vicino alla lunga lingua nera di asfalto, non prima di
averlo abbracciato, per pensare soddisfatto quanto fosse grosso quel tronco,
quasi a cercare protezione, un abbraccio che lo rendeva più forte.
Passava le giornate a contare le
poche macchine che passavano lungo la statale, i rimorchi carichi di fieno
appena tagliato che passando lasciavano un profumo delicato e il torpedone che
come un ape che vola di fiore in fiore trasportava il polline seminandolo ora
qui ora la.
Guardando il torpedone gli veniva
sempre in mente il primo giorno d’estate e quel ragazzino seduto sulla panchina
che avevano condiviso.
Era passata già più di una
settimana e la voglia di rincontrarlo era ostacolata solo dal costo del
biglietto e dalla lontananza della città.
Ralph però non era un tipetto da
mortificarsi o scoraggiarsi per così poco, gli sarebbe bastato un po’ di
coraggio, un pizzico di incoscienza e la spensieratezza dei suoi anni per
spingerlo a intraprendere quel piccolo viaggio alla ricerca di un amico che
ancora non sapeva di avere.
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